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mini, ma Don Marzio e Don Gherardo (Torquato Tasso) non sono dei curiosi anch’essi e ben più pericolosi di queste innocue femminette?

Dopo gli applausi di Venezia nel carnevale del 1753 (Memorie, 1. cit.) le rare cronistorie de’ nostri teatri ricordano recite delle D. c. al Pace di Roma (Cametti. Critiche e satire teatrali romane del 700. 1900, p. 5. Estr. dalla Riv. mus. it.), nel 1757 e 1574 a Modena (Mod. a C. G., 1907, pp. 237, 241), negli anni 1778 e 79 a Firenze (Corsini, Ottave cantate ecc., cit. nella Nota al Serv. di due padr). Nel ’24 entra nel corredo della Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 48) e ci sta sott’occhio un avviso del Teatro Gallo a San Benedetto di Venezia, dove l’8 dic. 1833 questa gloriosa compagnia eseguì le D. c., interpreti L. Vestri (Ottavio), C. Marchionni (Eleonora), A. Borghi (Rosaura), R. Romagnoli (Corallina), D. Righetti (Pancrazio [Pantalone]). Altre esecuzioni ancora: nel ’44 e ’65 a Modena (op. cit., pp. 240, 243) nel ’47 (Compagnia Dalmata di A. Manzin), ’52 (Comp. Benvenuti), ’56 (Comp. Riolo e Paladini) a Zara (Sabalich, Cronistoria aneddotica del Nobile Teatro di Zara [in corso di pubblicazione], pp. 182, 206, 227), nel 1857 al Comunale di Cesena (A. e L. Raggi. Il Teatro Comunale di Cesena, Cesena, 1906, p. 196). Intorno al 1870, prevalendo sempre più il repertorio della nuova scuola italiana e il francese, le compagnie toscane ebbero il torto di trascurare insieme a tante altre anche questa figliola di babbo Goldoni, benchè tanto viva ancora nel brio delle sue scene. Modesta, s’affida ormai solo alle cure delle compagnie veneziane. La tolse all’obblio Angelo Moro-Lin, il benemerito rianimatore del teatro veneziano. È cara, perchè mirabilmente adatta alla sua indole artistica, la parte d’Ottavio a Ferruccio Benini che recita la commedia nel testo originale, mentre la venezianissima Compagnia di Emilio Zago (altro fine interprete del personaggio d’Ottavio) la rappresenta tutta in dialetto. A tali metamorfosi il teatro goldoniano fu avvezzo fin dalla culla e spesso dallo stesso genitore, che paziente le tollerava anche se men che mediocre opera di comici (v. Premessa al Cav. e la da., vol. III, pp. 193, 194). Certo in toscano la recitava il Corsini, e tale dovette essere se la trasformazione di Pantalone in Pancrazio, di Arlecchino in Pasquino è indizio sicuro, la lezione seguita dalla Reale Sarda (v. avviso citato). Tra i fasti delle D. c. rammentiamo ancora il felice debutto del tredicenne Tommaso Salvini nella parte di Pasquino (Arlecchino) a Forlì nella Compagnia di Luigia Bon e di A. Berlaffa (Infanzia e giovinezza d’illustri ital. contemp. Mem. autobiogr. racc. da O. Roux. Firenze, 1909, II, p. 270).

Nè fuori d’Italia le D. c. ebbero sorti men liete, se furono tradotte in cinque lingue almeno (spagnolo, portoghese, [1774, v. Braga, Hist. do Theo, portuguez... Seculo XVIII, Porto, 1871, p. 392], tedesco, danese [Copenhagen, 1775], svedese [Stoccolma, 1798; trad. da C. Envalsson e rec. il 20 genn. 1898]), e nella sola Germania — tra riduzioni e traduzioni — rimaneggiata sette volte. Rappresentata secondo lo Schaz (Chronologisches Verzeichniss der sämmtl. Theaterstṳcke des Herrn C. G. in appendice al 3° vol. delle Mem. da lui trad. [Lipsia, 1789] p. 383) per la prima volta a Lipsia nel 1767, si diede due anni dopo, in traduz. anonima, a Vienna (così il libretto a stampa dello stesso anno). Nella traduzione del Saal si eseguì il 25 maggio 1769 di nuovo a Lipsia durante la Fiera (v. Klotz, Deutsche Bibl.