Vai al contenuto

Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/470

Da Wikisource.
456 ATTO TERZO

Lelio. Il male della ferita è leggiero: ma l’azione è stata briccona. Mi assaltò con una furia da disperato.

Pantalone. E per cossa?

Lelio. Per gelosia di quella vedova, che ora viene da voi.

SCENA XX.

Beatrice e detti.

Beatrice. Perdonate, signore.

Pantalone. La xe patrona.

Beatrice. (Come! Qui Rosaura? Ottavio dunque è bugiardo). (da sè)

Lelio. Ecco, signora Beatrice: per causa vostra. (le mostra il braccio)

Beatrice. Credetemi, che ho udito il caso col maggior dispiacere del mondo.

Lelio. Io sarò sempre in ogni modo adoratore del vostro merito.

Beatrice. Troppa bontà. Favorisca, signor Pantalone: è vero che ella ha esibito al signor Ottavio la casa e la tavola?

Pantalone. Siora sì, per atto de carità; perchè scazzà da ela nol saveva più come far.

Beatrice. (Indegno! Voleva uscire da me, per avere la compagnia di Rosaura!) (da sè)

Lelio. Vi preme molto questo signor Ottavio.

Beatrice. Mi preme che il signor Pantalone gli dia ricovero, per liberarmene.

Lelio. Se così fosse...

Pantalone. Ma mi non intendo farlo per sempre.

Beatrice. (Dica, signor Pantalone, perdoni la libertà. È vero che la signora Rosaura sua figlia fosse fuggita di casa?) (piano a Pantalone)

Pantalone. (Chi gh’ha dito sta cossa?) (piano a Beatrice)

Beatrice. (Mi è stata detta). (come sopra)

Pantalone. (Anca sì, che ghe l’ha dita sior Ottavio?) (come sopra)