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552 ATTO TERZO


rare. Per eseguire la mia vendetta, non ho avuto ribrezzo a mettere a repentaglio l’onor suo, la sua unica figlia, e la sua vita medesima.

Ottavio. Oh indegna! Se non ci fossero i sbirri...

Corallina. Anderò io stessa a darmi nelle loro mani; mi accuserò io medesima delle mie colpe; le aggraverò anche di più per essere maggiormente rea, per meritare anche la morte. Ecco gioje, ecco danari, tutti rubati al padrone: tutti frutti delle mie frodi, dell’arte mia. Sì, son rea di tanti delitti, ognuno de’ quali mi rende odiosa, mi rende indegna di vita.

Ottavio. Ah, se non fosse sì scellerata!

Rosaura. Mi fa piangere.

Corallina. Signori, v’è nessuno di voi che mi dia un colpo, e mi tolga da tante pene? No? Anderò io nelle mani degli sbirri.

Ottavio. No, fermatevi.

Rosaura. No, Corallina, venite qua.

Lelio. Eh, lasciatela andare. Ella è causa di tutto.

Ottavio. Voi non c’entrate a parlare, e se nessuno merita esser punito, lo siete voi, che temerariamente veniste...

Lelio. Parlate bene, che giuro al cielo...

Ottavio. V’ammazzerò...

Florindo. Badate: ci sono i sbirri.

Ottavio. Avete ragione... (a Lelio)

Corallina. Tutto per causa mia! Signori, lasciatemi andare.

Ottavio. No, non voglio che tu sia punita. Lo meriti, ma non lo voglio.

Rosaura. Io per me vi perdono.

Florindo. Ed io pure,

Ottavio. Ah! non lo meriti; ma ti perdono ancor io.

Arlecchino. Vado subito a licenziar i sbirri. (parte)

Corallina. Oh cielo! Mi perdonano tutti?

Ottavio. Sì, tutti, fuori che quella bestia. (accennando Lelio)

Lelio. Sì, le perdono ancor io, animalaccio da carro.

Corallina. Mi perdonano tutti?