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168 ATTO TERZO

Corallina. (Questo è quel ch’io desidero). (da sè)

Rosaura. Altrimenti io non mi marito; e avrete in casa una disperata.

Corallina. Venite meco. Andiamo a vedere, se si può parlare al signor Florindo.

Rosaura. Se il zio mi vede...

Corallina. Se siete meco, non abbiate paura.

Rosaura. Andiamo dunque, se così vi piace.

Corallina. Oggi saremo tutte due contente. Ma chi lo sarà più di noi?

Rosaura. Spererei che dovesse esser maggiore la mia contentezza.

Corallina. Per qual ragione?

Rosaura. Perchè il mio sposo è giovane, e il vostro è vecchio. (parte)

Corallina. Per me vorrei ch’egli avesse altri vent’anni di più, purchè per ogni anno gli crescessero mille scudi. (parte)

SCENA VI.

Beatrice e Pantalone.

Beatrice. Favorisca, signor Pantalone: pare ch’ella mi sfugga.

Pantalone. Son qua, cossa me comandela?

Beatrice. È vero che ho scarso merito, ma la sua gentilezza è tanto grande, che mi fa sperar qualche cosa.

Pantalone. Cara siora Beatrice, la me mortifica. Se posso servirla, la me comanda.

Beatrice. Veramente è stato troppo ardire il mio, venir qui a darle incomodo...

Pantalone. Me maraveggio. La xe vegnua a favorir mia nezza...

Beatrice. Eh, signor Pantalone, non sono venuta qui per la signora Rosaura.

Pantalone. No? Mo per cossa donca?

Beatrice. Non mi è lecito dir di più. Ho detto anche troppo.

Pantalone. (No la me despiase; no la xe miga cattivo tòcco). (da sè)

Beatrice. Voi la mariterete presto la vostra nipote.

Pantalone. Certo; più presto che poderò.