Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu/233

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glia porporine! Che faccia porporina! Che seno umile e rispettoso!

Florindo. Ma voi la descrivete a meraviglia.

Lelio. L’ho tanto impressa nel cerbero, che mi par di vederla col sopracciglio.

Florindo. (Ecco il signor Pantalone). (da sè) Amico, con vostra buona licenza. (in atto di partire)

Lelio. Addio, vado ad esalare i fumi dell’amor mio al cospetto della mia Venere. (via)

Florindo. Se non sapessi essere costui un stolido, mi avrebbe posto in angustia, col timore ch’ei dicesse la verità.

SCENA II.

Pantalone e Florindo.

Pantalone. Son qua, patron mio, cossa me comandela?

Florindo. Signore, scusate l’incomodo...

Pantalone. Senza tanti complimenti. La me fa finezza a parlarme speditamente, perchè gh’ho diversi interessi che me tien occupà.

Florindo. Favorite in grazia. Voi conoscete a pieno la mia persona?

Pantalone. Sior sì, ho cognossù vostro sior pare, e gh’ho tutta la cognizion della vostra casa.

Florindo. A che servono dunque tanti rigiri? Vi parlerò francamente. Io sono invaghito del merito della vostra figliuola, e vengo io stesso supplicarvi che vi degniate di concederla a me per isposa.

Pantalone. Caro sior Florindo, ve dirò. Mia fia xe da maridar, e me chiamerà ve fortuna a darla a un zovene proprio, civil e de bona indole, come se vu. Ma se vegnù un poco tardi.

Florindo. Come! È impegnata la signora Rosaura?

Pantalone. Sior sì, la xe impegnada.

Florindo. Posso io sapere con chi?

Pantalone. Perchè no? L’ho promessa al sior Lelio.

Florindo. A quel stolido?

Pantalone. Giusto a quello. Mi, per dir la verità, giera contrario