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sul serio dubitare se sia vero che «pochissimo incontro facesse sopra la scena, quantunque la parte principale della Castalda fosse sostenuta dalla celebre Corallina, tanto ne’ fogli miei decantata e tanto universalmente applaudita»: parole di Goldoni (Paperini, VIII, ibid.).

Del resto, non conveniamo punto con lo Schedoni (Principii morali del teatro, Modena, 1828, pag. 46), il quale condanna la Castalda «per gli scherzi riprensibili»; nè tampoco col Meneghezzi (Della vita e delle opere di C. G., pag. 149), che ha l’aria di scandalizzarsi perchè Corallina dispensa generosamente a questo e a quello la roba non sua, e, peggio ancora, amoreggia con un servo che poi, com’è del suo interesse, abbandona per attaccarsi al vecchio e ricco padrone, ingattito di lei. Ma se è proprio la gloria di Goldoni aver portato alla ribalta uomini e donne quali veramente sono, cioè coi loro difetti e con le loro debolezze! Nè ci prenderemo la melanconia d’indagare con Marco Landau (C. G. In Beilage Z. Allgem Zeitung. Monaco, 1896, n. 52, 53) se il tipo della Castalda, egualmente che quello della Donna Vendicativa e della Donna di governo, trovisi già plasmato ne la Serva padrona del Nelli. Ma non ci sentiamo di mettere a fascio, come fa il Rabany (C. G. Le Théatre et la Vie en Italie au XVIII siecle, pag. 337), la Castalda con la Vedova scaltra e la Donna di Garbo, per poi cavarne la conclusione non peregrina che queste ultime due sono preferibili. Valutarla insomma tra le migliori col Reichel di Berlino (C. G. In seinem 200. Gerburtstage. Sonntagsblatt des Hannooerschen Couriers, 1907, n. 845), no; ma tra le mediocri, nemmeno.

Dal quale giudizio non ci rimuovono gli altri personaggi della commedia, che se anche non emergono come Corallina, fanno alla medesima comico e piacevole contorno. Per esempio quel Lelio, cui Beatrice, Corallina e la stessa Rosaura ne accoccano di belle, non è una gustosa macchietta con gli errori (Pantalone li battezza spropositazzi) di cui ingemma le sue amorose svenevolezze (Cfr. Schmidbauer. Das Komische bei Goldoni. München, 1906, pag. 109); quel Lelio, dico, tanto bene incarnato nella stessa Compagnia Medebach dal Landi (V. Notizie del Bartoli, che per una svista scambia Leandro per Lelio), e nel secolo scorso da Adamo Alberti, famoso altresì per la parte di Ludretto nella nota trilogia del Bon (Rasi. I Comici Ital., I, pp. 17-20)? Non parliamo poi di Pantalone (certamente nelle prime recite il celebre Collalto), sempre quel credulo bonaccione che conosciamo, e zimbello delle donne accorte; di Arlecchino che spiattella a Corallina con la più simpatica faccia tosta del mondo le tre pietanze al zorno che gli passa il suo padrone: Polenta, acqua e bastonade (A. I. Sc. I). Ed anche quest’ultimo, Ottavio, il nobile spiantato «che sopporta tutte le umiliazioni inflittegli per amor del desinare» (Falchi. Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, pag. 104), non è forse un tipo schizzato dal vero?

Nessuna meraviglia perciò, che la commedia venisse accolta con favore al S. Luca di Venezia il 2 dic. 1796, quando fu di nuovo rappresentata dalla Compagnia Perelli; e, prima ancora, a Modena nel 1759, nel 1767 e nel 1857 (V. Miscell. modenese a C. G, pp. 237, 240, 241); a Zara nel 1767 dalla Compagnia Rossi col vecchio Duse (Dalmata, Zara, 27 febbr. 1907); nessuna meraviglia, ch’entrasse nel repertorio della R. Compagnia Sarda nel 1826