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L'AMANTE MILITARE | 263 |
corrieri che giungono dalla Corte al General Comandante, e la lentezza con cui egli procede a vista dell’inimico, è un certo segno del vicino accomodamento. Qui non si parla di marce, qui non si vedono disposizioni a novità alcuna. Rasserenatevi, Rosaura mia, state lieta, amatemi, e sperate1 quella felicità ch’io di goder mi prefiggo.
Rosaura. Secondi il cielo le vostre intenzioni, e dia quella pace al mio cuore, che lo può render contento.
SCENA II.
Don Garzia e detti.
Garzia. Amico, buon pro vi faccia.
Rosaura. Come, signor tenente? Chi vi ha permesso inoltrarvi?
Garzia. Oh bella! Per venir a trovare un uffiziale mio camerata, avrò bisogno di far precedere un’ambasciata?
Rosaura. Queste non sono le di lui camere.
Garzia. Saranno le vostre2; noi altri uffiziali stiamo volentieri nelle camere delle padroncine di casa. Il quartier mastro ci prepara l’alloggio, e noi ci troviamo la conversazione.
Rosaura. Don Alonso, se avete affari col vostro amico, potete condurlo nel vostro quarto.
Alonso. Don Garzia, favorite di venir meco.
Garzia. Quello che vi ho da dire consiste in due parole, e ve le posso dire ancor qui. Molto riservata signora mia, sappiate che fra noi altri uffiziali non ci prendiamo soggezione l’uno dell’altro.
Alonso. Ebbene, che mi dovete voi dire?
Garzia. Che il comandante ci ha intimata la marcia, che avanti sera saremo tutti sull’armi, ed ecco in iscritto l’ordine che mi ha dato, e per voi, e per me, il nostro sergente.
Rosaura. (Oh me infelice!). (da sè)
Alonso. Perchè sull’armi di sera?3