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critico della commedia italiana. Milano, 1829, p. 48). «Il carattere [di Pantalone] è assai bene ideato — nota il Sismondi — e messo in iscena con molta giovialità», ma poi, non a torto, lo taccia d’esagerazione; e pur la nota gioviale par fuori di posto (Trattato della lett. ital., ecc. Mil, 1820, vol. II, pag. 135). Un’assai pensata analisi n’offre il Rivalta (C. G., Nuova Antologia, 16 febbr. 1907, p. 624) avvertendo che solo la repentina conversione ne indebolisce la linea generale, «non tanto però ch’essa non rimanga sempre mirabile». Lodi più decise ancora partono da due dei meglio accreditati studiosi del Goldoni ai giorni nostri. «Profondissima commedia, assai prossima al dramma moderno», giudica il Masi (Scelta, ecc. Fir., 1897, vol. I, p. 128) e Ferdinando Martini: «Il Geloso avaro è piuttosto un canevaccio, l’abbozzo di una commedia, che una commedia vera e propria; ma prima attesta della facoltà di dipingere le diverse gradazioni delle passioni umane, nel Goldoni meravigliosa: chè l’avarizia di Pantalone non è l’avarizia di don Ambrogio [L’avaro], o del Conte di Casteldoro [L’avaro fastoso], nè la gelosia, la gelosia di Lindoro o di don Roberto [La dama prudente]. Inoltre dal comico de’ primi due atti si sorge nel terzo a tali altezze di dramma interiore che il Goldoni non raggiunse mai altrove» (Capolavori di C. G., Firenze, 1907, p. VI). Altri veda se, pur dato ma non concesso tanto elogio, il posto di questa commedia sia proprio in mezzo a capolavori: p. e. tra la Locandiera e i Rusteghi (cfr. anche M. Ortiz in Giorn. stor. d. lett. ital. vol. LII, fasc. 154-155, p. 193).

Di tutt’altro colore son quasi tutti gli apprezzamenti dei censori d’oltralpe, i quali spesso ignorano le opere più perfette del Nostro per accanirsi contro quelle che più facile porgono il fianco alla critica. Non si scorge p. e. la necessità di quel minuto paragone tra il Geloso avaro e l’Avare del Molière compiuto dal Ruth per giungere, si capisce, a ben poco lusinghiere conclusioni per il Veneziano. E v’ha di peggio. Il Geloso avaro, secondo il nuovo Baretti, è di quei lavori che per una larvata miscela di vizio e di virtù fanno di Carlo Goldoni un pubblico avvelenatore o poco meno ( «einer der gefährlichsten Schriftsteller für seine Landsleute». Literarhistorisches Taschenbuch, edito dal Prutz. Hannover, 1846, pp. 307, 309, 319). Il Lüder si limita a biasimare aspramente la commedia, negando ogni rapporto con l’Avare (op. cit., p. 34). «Faible» la qualifica il Rabany e il laconico aggettivo illustra con un breve riassunto (op. cit., p. 271). Delle «più deboli» sembra anche al Klein (Gesch. d. ital. Drama’s, Leipzig, 1868, vol. III, parte I, pag. 450), che questa volta giudica e manda senza darne le ragioni. Scarsa unità di concetto, e come altre volte, troppo servile imitazione del reale appunta al poeta il Wismayr (Ephemeriden der italienischen Litteratur, ecc. Salzburg, 1801, pp. 58, 59). Da giudizi così severi, ma nel loro complesso non infondati, si stacca netto questo apprezzamento, che suona decisa lode, di L. Mathar: «Non s’intende bene come tale commedia, alla sua prima recita, potesse cadere; poichè questa non è tra le creazioni più deboli del poeta italiano. Il problema di mostrare come un uomo si dibatta tra due passioni, l’avarizia e la gelosia, è ottimamente risolto.... Sia pur rarissimo il carattere dell’angelica, paziente e fedele Eufemia, ingiustamente maltrattata (ricorda Rosaura nella Moglie saggia), l’indole dell’avaro geloso è studiata con grande arte e in ogni suo minuto atte-