Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/234

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226 ATTO PRIMO

Clarice. Sì, ti manderà via.

Argentina. E così, tornando al nostro proposito... (a Flaminia) Clarice. Indegna!

Argentina. Sappia che il signor Ottavio... (a Flaminia)

Clarice. Non mi abbadi?

Argentina. Mi comandi... (a Clarice)


Clarice. Sei una temeraria.

Argentina. Me l’ha detto tre volte.

Clarice. (Se più l’ascolto, se più mi fermo, la bile mi fa crepare assolutamente). (da sè, e parte)

SCENA III.

Flaminia ed Argentina.

Flaminia. È una gran testaccia quella mia sorella.

Argentina. Niente, signora; lasciate fare a me, che m’impegno di metterla alla disperazione.

Flaminia. Per conto mio, non intendo però che si disprezzi e s’insulti; nè tu devi farlo. Ella pure è la tua padrona e le devi portar rispetto. È mia sorella; e quantunque non abbia ella stima di me, io la voglio avere di lei.

Argentina. Saviamente parlate, signora; lodo infinitamente la vostra amabile docilità. Io non intendo di mancare a quel rispetto che devo alla signora Clarice; ma qualche volta faccio per risvegliarla. Già Lo sapete com’è: un giorno mi vuole indorare, un altro giorno mi vorrebbe veder in cenere. Io mi regolo secondo di che umore la trovo.

Flaminia. Bada bene, che ora essendo di cattivo umore e stuzzicata da te un po’ troppo, non vada da mio padre e non Lo metta su malamente.

Argentina. A far che?

Flaminia. A mandarti via.

Argentina. Oh signora, per così poco il padrone non mi licenzia.

Flaminia. Lo so che ti vuol bene; ma potrebbe darsi...