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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/243

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LA CAMERIERA BRILLANTE 235

Ottavio. Ne ho più di uno. Ma sono cose ch’io non le dico. Non faccio ostentazione delle cose mie.

Pantalone. La gh’averà anca el titolo!

Ottavio. Ho titoli, ho feudi, ho tutto quello che si può avere. Ma non parliamo di questo. Son qui, come diceva, per un affare; e son venuto a vedere la vostra villa.

Pantalone. La vederà un tugurio, una spelonca, un lioghetto da poveromo. Mi no gh’ho feudi; mi no gh’ho grandezze.

Ottavio. Ciascuno deve contentarsi di avere le cose a misura del grado. Io non lodo quelli che fanno dell’ostentazione.

Pantalone. Se vede ch’ela xe un signor pien de modestia; no ghe piase de far grandezze.

Ottavio. No certamente. Alla mia tavola ci può venire ogni giorno chi vuole, ma non invito nessuno.

Pantalone. Anca mi son cussì. Alla mia tola no invido nissun.

Ottavio. Fate benissimo: dagli amici si va senza essere invitati.

Pantalone. Se va dove se xe seguri de trovar una bona tola; ma da mi se sta mal.

Ottavio. In villa non si fanno trattamenti. Ogni cosa serve.

Pantalone. In villa, come ghe diseva, chi pol, fa pulito; ma mi no posso, e no fazzo gnente.

Ottavio. Qui fra terra ogni cosa serve.

Pantalone. Ma anca fra terra se magna.

Ottavio. Voi non mangiate?

Pantalone. Poco.

Ottavio. Fate benissimo. Il troppo cibo pregiudica la salute.

Pantalone. Mi e la mia fameggia semo avezzai cussì. Ma chi xe uso a tole grande, no se pol comodar.

Ottavio. Io per solito mangio pochissimo.

Pantalone. Mo se la fa una tola che poi vegnirghe chi vol.

Ottavio. Lo faccio per gli altri; lo faccio perchè mi piace spendere, perchè mi piace trattare; ma io sono regolatissimo: una zuppa, un pollastro, due fette di fegato, un po’ d’arrosto mi serve.