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258 | ATTO SECONDO |
Pantalone. No vôi che ti vaghi via.
Argentina. Volete ch’io resti a pranzo?
Pantalone. Sì, resta a disnar.
Argentina. E il signor Ottavio?
Pantalone. E el sior Ottavio...
Argentina. Per la vostra cara Argentina. Il signor Ottavio resterà ancora lui. Non è egli vero?
Pantalone. No digo gnente.
Argentina. Non mi basta. Avete da dire di sì, che resti.
Pantalone. Via, digo de sì.
Argentina. Che resti.
Pantalone. Che el resta.
Argentina. Avete sentito? (ad Ottavio)
Ottavio. Sono molto tenuto alle finezze del signor Pantalone; egli è pieno di gentilezza. (sostenuto)
Pantalone. (Se el gh’ha reputazion, nol ghe sta). (da sè)
Ottavio. Finalmente un uomo della sua sorte non poteva trattare diversamente. Rimango con un obbligo eterno alle sue esibizioni. (sostenuto, in atto di partire)
Pantalone. (El va). (da sè)
Ottavio. Ed io che desidero fargli conoscere qual capitale io faccia delle sue grazie, conoscendo anche il suo temperamento che non vuol soggezione, vado a cavarmi la spada ed a mettermi in libertà. (parte)
SCENA V.
Pantalone ed Argentina.
Pantalone. Dove vala, patron? (gli vuol andar dietro)
Argentina. Fermatevi, signor padrone.
Pantalone. Cossa gh’è?
Argentina. Vi ho da parlare fra voi e me.
Pantalone. Aspettè che vaga...
Argentina. Ma voi sempre volete fare all’incontrario di quello che dico io. Vedo che non mi volete più bene.