Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/513

Da Wikisource.

IL VECCHIO BIZZARRO 501

Clarice. Rispondo dunque, e dico, che il signor marito alla vecchia non è fatto per una giovine alla moderna. Che a questo patto non isposerei un re di corona. (parte)

Celio. Venite qua, sentite.

Pantalone. Adesso cognosso che la me burlava.

Celio. Costei vuol essere la mia morte. (sputa)

Pantalone. Cossa dise siora Flamminia?

Flamminia. Io, signore, che non vi ho mai burlato, ma che sempre ho avuto per voi della stima e della venerazione, vi dico e vi protesto, che mi chiamerei fortunata se vi degnaste di me, e mi trovereste rassegnatissima al vostro genio, al vostro savio costume.

Pantalone. Adesso cognosso che la me diseva dasseno.

Florindo. Mia sorella ha diecimila ducati di dote1.

Pantalone. E mi gh’ho tanto da poderghela sigurar.

SCENA XVII.

Argentina e detti.

Argentina. Signori, è qui il signor Ottavio, che vorrebbe passare.

Flamminia. Io non lo voglio vedere.

Pantalone. La se ferma. La lassa che el vegna, e no la gh’abbia suggizion. Con licenza de sior Celio, diseghe che el vegna avanti.

Argentina. Che ha la signora Clarice, ch’è venuta di là ridendo?

Pantalone. La gh’ha le gattorigole2 in tel cervello.

Florindo. Non crederei che Ottavio potesse pretendere...

Pantalone. Sior Ottavio el va via domattina.

Florindo. Se non ha denari.

Pantalone. El gh’ha più de cento zecchini. Lo so de seguro.

Florindo. Come li ha fatti?

Pantalone. I ghe sarà vegnui da Livorno. (No vôi far saver che ghe li ho dai mi). (da sè)

Celio. Caro signor Pantalone, non mi abbandonate per carità.

  1. Nella sc. 3, atto I, Ottavio dice trentamila.
  2. Il solletico: v. Boerio.