Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/21

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e della mia Locandiera facciano egualmente a proposito dei rispettivi soggetti; burlandovi delle dispute sciocche sul numero degli atti, in cui dev’essere l’azione divisa, e di certe regole antiche inutili, e dei rigorosi antiquari, che sprezzano tutto ciò che è moderno, in grazia di un’affettata venerazione all’antichità. La prova delle buone Commedie pare a voi, con ragione, che trovisi allora quando l’uditore s’inganna da per se stesso, crede vero ciò che gli viene rappresentato per verisimile, e non siete persuaso degl’intrecci soverchiamente intricati, col chiarissimo fondamento che l’ansietà di vedere il fine toglie il piacere dei sali, della critica, della morale. Lodate la semplicità dei lavori Comici, dicendo elegantemente:

          Tanto intrecciar conviene, quanto ad unirlo è d'uopo,
          Sì che sia un corpo solo, ed abbia un solo scopo.

Vi consolate con ragione coll’ Italia nostra, non per quel poco di bene che io ho studiato recarle sul proposito della Commedia, ma per vederla arricchita della bellissima traduzione del Terenzio Francese Monsieur Destouches, opera di nobile virtuosa Dama1.

Ma sono compiante tuttavia con ragione dalla vostra fervida mente le Scene Italiche, per la scarsezza de’ buoni Attori, de' quali voi conoscete il bisogno, non tanto nelle parti giocose, quanto nelle nobili, interessanti, vezzose, terminando l’opera con una esclamazione per me onorevole, e a me diretta:

                         . . . . . .Per ciò adoprar ti dei;
          Risorta è la Commedia, sorga l’Attor con Lei.

Questa, di cui ho fatto brevemente l’analisi, è la parte succosa del Poemetto ammirabile che mi ha onorato. Celaste l’illustre nome sotto quello di Arcadia, ma il Mondo vi conosce egualmente, e vi venera Pastor letterato e Cavaliere egregio. La vostra Illustre Famiglia vanta quei rispettabili gradi di nobiltà, che tanto singolarmente si apprezzano da chi non è Filosofo quanto voi siete,

  1. La duchessa Maria Vittoria Serbelloni, nata Ottoboni, amica del giovane Verri, alla quale il nostro commediografo dedicò nel 1757 la Sposa persiana (v. anche pref. alla Donna volubile, vol. VI, p. 357).