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378 ATTO QUINTO


SCENA II.

Creusa, poi Livia.

Creusa. Parla di sposo meco Lucan, quando mi vede.

S’inganna, se capace d’amor per lui mi crede,
E più se si lusinga, offrendomi l’onore
Di nozze sì sublimi, di vincere il mio cuore.
La libertade accetto dalla pietà del cielo,
So che contribuito v’ha di Terenzio il zelo;
Se suo fu questo cuore finor per mio piacere,
Ora sarà di lui per legge e per dovere.
Livia sen vien; se meco segue ad essere altera,
Vo’ contro al mio costume risponderle severa.
Livia. Fama, Creusa, è vera di te poc’anzi intesa?
Creusa. (Diasi al fasto egual pena). (da sè) Sì, libera son resa.
Livia. Franca rispondi, ardita.
Creusa.  Stile appresi romano.
Livia. Sposa sarai tu presto?
Creusa.   Sta l’esserlo in mia mano.
Livia. Di qual felice eroe dono sarà il tuo cuore?
Creusa. Forse di tal, per cui Livia ha rispetto e amore.
Livia. Di Terenzio?
Creusa.   Di lui dunque tu vivi amante?
Livia. Menti.
Creusa.   Mentir si dice chi maschera il sembiante.
Livia. Greca svelar mal puote delle Romane il fuoco.
Creusa. Di te la debolezza conoscesi per poco.
Livia. Tal favelli a Romana?
Creusa.   De’ fregi tuoi preclari
Sol duemila sesterzi mi rendono del pari.
Livia. Esser non puoi vantarti nata a’ sublimi onori.
Creusa. Chi sa che gli avi tuoi non fossero pastori?
Livia. Anche l’aratro in Roma ne’1 cittadini è degno.

  1. Zatta: de’.