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384 | ATTO QUINTO |
(Che alfin sono gli stessi culti in vari costumi)
Che dell’aquile invitte Africa non sia preda,
Ma inchinisi al destino, Roma rispetti, e ceda.
Capo dell’orbe intero, che pesi, gradi e onori
Parti, disponi, alterni fra consoli e pretori,
Tribuni, magistrati, padri, edili, censori,
Decurioni, maestri, comizi e dittatori;
Tuoi cittadin concordi, diretti ad un sol polo,
Negli animi diversi serbino un pensier solo;
Ogni passion privata, vinta nel seno e doma,
Fondino i beni loro nella gloria di Roma.
Godi perpetua pace, regna del Tebro in riva,
Fin là dove il tuo fato scritto nel cielo arriva;
E se dai numi al Lazio fosse prescritto il fine,
La libertà di Roma passi ad altro confine,
Dove con gloria pari, con pari legge alterna,
Abbia l’Italia onore di Repubblica eterna.
Pretore. Eco a’ fausti presagi al ciel salga giuliva.
Lucano. Viva, Romani, il vate.
Lelio. Viva Terenzio.
Tutti. Viva.
(Al suono degli stromenti parte il Pretore con tutti quelli che lo seguirono.)
SCENA VII.
Lucano, Terenzio, Lelio, Fabio, Damone,
Clienti e Servi; indi Livia.
Permettasi che Livia possa accordare i suoi.
Lucano. Vieni, o tu di Lucano figlia d’amore, a parte
D’onor, di cui tu stessa godrai la miglior parte.
Altro fregio non manca al cittadin novello,
Che far con degne nozze il suo destin più bello.