Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/120

Da Wikisource.
114

Lei Musa a scrivere in brievi giorni cinquecento settantadue versi1 talmente forti, eleganti, succosi, e talmente apologetici e convincenti, che non solamente persuasero l’autor della critica, ma tutti quelli che forse con maggiore animosità impegnati si erano a sostenerla. Ella ha seguitato nel metro lo stile dei Martelliani, per uniformarsi non solo ai versi della Commedia da Lei difesa, ma a quelli ancora usati nella critica stessa, ed ha di questa parimenti imitato il linguaggio, scrivendo Ella pure nel nostro Veneto idioma; ma colla scelta delle parole, e colla robustezza dei sentimenti, ha fatto conoscere che la lingua nostra è capace di tutta la forza e di tutte le grazie dell’arte oratoria e poetica, e che usata anch’essa da mano maestra, non ha che invidiare alla più elegante Toscana. Ella aveva ciò dimostrato altre volte in varie pubbliche azioni, nelle quali vuole il sistema di questa ben regolata Repubblica, che del proprio nativo idioma gli Oratori si valgano, e la di Lei naturale facondia, unita al chiarissimo suo talento, ed allo studio incessante di cui si compiace, rende l’E. V. ammirabile nell’età verde in cui si ritrova, e fa sperare in Lei coll’andar degli anni un benemerito cittadino di questa Patria gloriosa.

Giacchè ho differito finora a soddisfare le mie obbligazioni, e giacchè ho che fare con un creditore umanissimo, che della mia tardanza non sa lagnarsi, procurerò di tirare innanzi, non per seguire il costume dei debitori ostinati, ma per imitare coloro che attendono l’opportunità di pagare. Aspetterò una favorevole congiontura, e allora quando sia l’E. V. per accrescere l’onore della Nobile sua Famiglia con titoli e dignità decorose, m’ingegnerò di adoperare tutta la forza del mio scarso talento per far eco alle pubbliche voci. Frattanto, facendo anch’io come quelli, che non potendo scontare il debito, cercano con qualche picciola offerta di cattivarsi l’animo del creditore, presento a V. E. il miserabile dono di una Commedia, sperando che appagandosi Ella dell’umile sincera mia ricordanza, vorrà prolungarmi benignamente

  1. Vol. X cit., pp. 405-6.