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LA BUONA FAMIGLIA 387


Fabrizio. Un tale articolo si potrà esaminare; ma intanto, per riavere le gioje, signora mia, avete voi portato i dugento scudi?

Angiola. Per ricuperare la roba mia, mi sarà d’uopo sborsar danaro?

Fabrizio. Non decido chi lo debba sborsare; ma senza questo, le gioje non esciranno dalle mie mani.

Angiola. Via, signor Fabrizio, siate meco un poco più compiacente. Che vi ho fatto io, che mi guardate di sì mal occhio? Alla fin fine, se ora non volete darmi le gioje mie, pazienza. Non vi perderò per questo la stima, nè sarò grata alla vostra casa meno di quello ch’io debba essere, per il bene che ne ho ricevuto. Mi cale sopra tutt’altro la vostra grazia, l’amicizia vostra; non parliamo più di melanconie; ho bisogno anch’io di sollevarmi un poco. Caro signor Fabrizio, non v’incresca di far meco un po’ di conversazione. Accostiamoci un pocolino. (s'accosta colla sedia)

Fabrizio. (S’alza) Se non avete altro da comandarmi, ho qualche cosa che mi sollecita a dipartirmi, signora mia.

Angiola. (S’alza) Volete ch’io ve la dica come l’intendo? Siete assai scompiacente, signor Fabrizio, e vi conosce poco dunque chi predica la vostra docilità.

Fabrizio. Signora, io non fo la corte a nessuno. Chi mi vuole mi pigli, chi non mi vuole mi lasci.

Angiola. E come volete che chi vi vuole vi pigli, se da chi vi si accosta fuggite?

Fabrizio. Compatitemi, veggo Nardo che mi vorrebbe dir qualche cosa. (guardando verso la scena)

Angiola. E con questa buona grazia mi licenziate? S’io non volessi andarmene, che direste?

Fabrizio. Direi che vi accomodaste a bell’agio vostro. Permettetemi ch’io vada a intendere, che cosa il mio servitore ha da dirmi.

Angiola. Mi lascierà qui sola con questa magnifica civiltà?

Fabrizio. (Eh, mi farebbe impazzare, se le badassi). (da se) Nardo, venite qui.