Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/525

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NOTA STORICA

Negli ultimi giorni di settembre, o primi di ottobre, del 1755 il Goldoni, scrivendo da Venezia a S. E. Francesco Vendramin (ch’era a Padova, un po’ incomodato di salute) intorno alle commedie già pronte per la stagione autunnale, riferìva: «Mi dicono che Lapy faccia bene la vecchia; lo vedremo. Nelle Donne de casa soa ho fatto una vecchia apposta per lui, e sarebbe bene la facesse prima di quelle che ha fatto Gandini, onde la farò copiar subito, e poi la manderò a V. E.» (D. Mantovani, C. G. e il Teatro di S. Luca, Milano, 1885, p. 74). Le recite seguirono dunque «nell’autunno», come pure afferma l’ed. Pitteri, poco dopo la caduta della Buona Famiglia, nell’ottobre stesso e nel novembre (sbaglia l’ed. Zatta, e sbagliano le Memorie che ci vorrebbero far retrocedere al carnovale): e riuscirono felicissime «in Venezia non solo» ma, più tardi, «in altre parti dell’Italia eziandio» (lett. di dedica, v. a pag. 429).

Per ciò forse furono onorate, più delle Massere, di furibonde critiche da parte dei chiaristi, prima di tutti da S. E. Giorgio Baffo, del quale nel notissimo cod. Cicogna MDCCCLXXXII - 2395 del Museo Civico di Venezia si legge una indecentissima epistola martelliana. Della commedia intitolata Le donne de casa soa del celebre Sior Dr. C. G., Lettera del N. H. N. N. (alcuni frammenti riferi Cesare Musatti, Le donne de c. s. e una satira contro C. G.. nel n. 1O, anno 1, 24 febbr. 1907, del Palvese). Chi lo crederebbe? Eppure, in nome della morale, ci tocca udire il Baffo, proprio il Baffo, col suo linguaggio da lupanare, farsi difensore del buon costume contro Carlo Goldoni. L’osceno patrizio è fuor di sè, perchè il riformatore del teatro insegna il male e mette in scena «donne da bordello».

          «Onde contro i principi, contro le bone regole,
          Mette in scena e ruff..., e putt..., e pettegole».

Trova da biasimare l’amica

          «Piena de frascherie, de parole lascive,
          De motti scandalosi, de massime cattive»;

la «muggier che porta le braghesse», il marito balordo e la «vecchia massera, che ancora gh’à la stizza...»: tutti e tutto. Roba «da incartar sardelle», commedia «da buttarla sul fogo, da buttarla in canal».

          «El Dottor me perdona, col se l’ha merità.
               Mi l’ho sempre defeso, mi l’ho sempre lodà.
          Taroccar nei caffè non posso, e no me degno:
               Ma quando che i me stuzzega, dasseno no me tegno».

Con buona pace del Goldoni, il Chiari «De cento barche almanco avanti el ghe xe andà»; e il Baffo grida, sempre più esasperato, all’abate:

          «Andè drio la segonda, ma sul paluo no andè.
          Che quando l’acqua cala, in mer... restarè.