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210 ATTO PRIMO
E se cangiare aspiri in meglio un dì la sorte,

Odia il soverchio sonno, ch’è fratel della morte.
Cecchino. Con voi di buon mattino sorger, signor, non peno;
Bastami che la notte possa dormire almeno.
Riccardo. E chi è, che t’impedisca la notte il tuo riposo?
Cecchino. Ve lo direi, signore, ma favellar non oso.
Riccardo. Sento rumore in camera di donna Livia. È desta?
Cecchino. Oh sì, signor; passeggia.
Riccardo.   Che stravaganza è questa?
Ella che il mezzogiorno udir nel letto suole,
Perchè sorger stamane prima che spunti il sole?
Cecchino. Dirò, signor padrone, la padroncina è alzata.
Perchè (glielo confido) non s’è ancor coricata.
Riccardo. Come! la notte intera passò senza riposo?
Cecchino. Pur troppo, e son per questo lasso anch’io sonnacchioso.
Riccardo. Parla; a me si può dirlo, a me deono esser note
Le cure che molestano il cuor della nipote.
Cecchino. Ma se lo sa ch’io il dica, misero me! Provate
Più volte ho sul mio viso le mani indiavolate.
Riccardo. Non ardirà toccarti, se sei da me protetto.
Cecchino. Voi la terrete in freno?
Riccardo.   Parla; te lo prometto.
Cecchino. Nasca quel che sa nascere, dover parmi, e ragione,
Ch’io parli, ed obbedisca sì docile padrone.
Sono due notti intere, che la padrona mia
Non dorme, e vuol ch’io vegli con essa in compagnia.
Riccardo. Per qual ragion due notti star donna Livia alzata?
Cecchino. Perchè?....
Riccardo.   Franco ragiona.
Cecchino.   Meschina! è innamorata.
Riccardo. Di chi?
Cecchino.   Di don Rinaldo.
Riccardo.   M’è noto il cavaliere.
Ha sentimenti onesti; conosce il suo dovere.
Perchè mai di soppiatto venir di notte oscura,