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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/253

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LA DONNA STRAVAGANTE 247
Trovate altri che sappia meglio di me soffrire.

Io, pria di più vedervi, mi eleggo di morire.
Morrà, se non mi vede. Ma vuol morir, protesta,
Eh, di sdegnato amante solita frase è questa.
Ritornerà, son certa; amor vince l’orgoglio;
Ma torni pur l’ingrato, più rimirar nol voglio.
(adirata, poi sospira)
Lo dissi a don Riccardo. Giurai sull’onor mio.
Recavi questo foglio un sempiterno addio.
Questo è troppo. (siede) Narrarlo a don Riccardo istesso?
Debolezza da stolto, indegna del suo sesso.
Di me che dirà il zio? che dirà il mondo tutto?
Ah, delle mie stranezze ecco alla fine il frutto.
(resta alquanto sospesa)
Cecchino.
Cecchino.   Mia signora.
Livia.   Don Rinaldo dov’è?
Cecchino. Non lo saprei davvero.
Livia.   Voglio un piacer da te...
Cecchino. Mi comandi.
Livia.   Va tosto girando la città...
Guarda un po’ s’egli fosse sotto al balcon. Chi sa?
Cecchino. Non crederei, signora.
Livia.   Perchè?
Cecchino.   Perchè sdegnato,
Allor che alle mie mani quel foglio ha consegnato.
Dissemi: Del mio duolo abbi pietà ancor tu;
Non mi vedrai, Cecchino, non mi vedrai mai più.
Livia. Questo di più a te disse, e a me lo taci, indegno? (s’alza)
Ah, merti ch’io principi sfogar teco il mio sdegno.
Cecchino. Non me lo ricordava. (forte ritirandosi)
Livia.   Accostati.
Cecchino.   Ho timore.
Livia. Vieni qui.
Cecchino.   Dell’orecchio mi pizzica il bruciore.