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256 ATTO QUARTO
Livia.   Quel cavalier chi è?

Riccardo. Questi è il marchese Adrubale.
Livia.   (Asdrubale! mi piace).
Marchese. Chi è quella? (a don ’Riccardo)
Riccardo.   È donna Livia.
Marchese.   Cospetto! non mi spiace.
Riccardo. (Affè, se amor formasse sì strano matrimonio,
Pronubo a nozze tali vedrebbesi il demonio).
Marchese. Donna Livia è fanciulla?
Livia.   Lo son, per mia sventura.
Riccardo. Piacevi il bel costume? (al Marchese)
Marchese.   Parlatele a drittura.
Riccardo. (Quasi di farlo ho in animo, sol per escir d’imbroglio).
(da sè)
Livia. (Pentomi a don Rinaldo aver inviato il foglio). (da sè)
Riccardo. (Ma non ho cuor di unire destra a destra furente). (da sè)
Marchese. (Se non lo fa, cospetto!) (da sè)
Livia.   (Ah, che d’amore è ardente!)
(da sè)
Riccardo. Piacciavi, donna Livia, andar per un momento.
Sarò da voi fra poco.
Livia.   (Ardere anch’io mi sento). (da sè)
Parto per obbedirvi. Alle mie stanze aspettto,
Ma l’aspettar soverchio fremer mi fa.
Marchese.   Cospetto!
Che bell’ardir sublime, che spirito è codesto!
Livia. (Non ho veduto un uomo più amabile di questo).
(da sè, indi parte)

SCENA VI.

Il Marchese Asdrubale e don Riccardo.

Marchese. Perchè lontan la giovane mandar dagli occhi miei?

Riccardo. Perchè vi bramo in prima parlar senza di lei.
Marchese. Ben, che volete dirmi?
Riccardo.   Dirò, prima di tutto,