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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/473

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L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO 465
Madama. Illustrissimo sì.

Conte.   Via, madama carissima,
Sedete.
Madama.   No, s’accomodi vossignoria illustrissima.
Conte. Oh, va lunga l’istoria. Se devo venir qui,
Vo’ che trattiam del pari.
Madama.   Illustrissimo sì.
Conte. Dunque alla commissaria, per fare i dover miei,
Darò anch’io l’illustrissima.
Madama.   Come comanda lei.
Conte. (Oh, me l’ho da godere!) Che cosa mi comanda
Vossignoria illustrissima?
Madama.   I titoli da banda.
Conte. Madama, è qualche tempo che aspiro a quest’onore,
D’essere vostro amico e vostro servitore.
Madama. Se andate su nei cembali, signor, non vi rispondo.
Le cerimonie a parte. Capitolo secondo.
Conte. Così mi piace, e il terzo capitolo sarà,
Che abbiate a comandarmi con tutta libertà.
Madama. Anch’io, se in qualche cosa potessi favorirla...
Conte. (Povera commissaria! Bisogna compatirla). (da sè)
Madama. Starà molto da noi?
Conte.   Sì, spero di fermarmi.
Madama. Mi farà sempre grazia, se verrà a incomodarmi.
Conte. Ma voi vi confondete in vani complimenti.
I capitoli nostri saranno inconcludenti.
Madama. Siccome sono avvezza legger continuamente,
Imparo i buoni termini, e me li tengo a mente.
Conte. Che leggete di bello?
Madama.   Non mi ricordo più.
Leggo... come si chiama? Ah sì, il Fior di virtù.
Conte. Non avete commedie scritte sul stil moderno?
Madama. Oh, che son tanto belle! le ho lette quest’inverno.
Ma non erano mie: se le potessi avere!
Conte. Le farò venir io.