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478 ATTO TERZO

SCENA II.

Il Servitore e detti.

Servitore. Signore, in questo punto è giunto il feudatario.

(a don Mauro)
Mauro. Il marchese Rinaldo? Che farne io non saprei.
Servitore. E ho inteso dir, che venga ad alloggiar da lei.
Mauro. Da me?
Servitore.   Perchè il palazzo, dicono, è rovinato.
Mauro. Oh signor feudatario, gli son bene obbligato, (con caricatura)
Marchesa. Signor, vi fa un onore. Non convien disprezzarlo.
Mauro. Quest’onor, sì signore, poteva risparmiarlo.
Sto qui con libertà; son uno che mi piace
Gli amici confidenti godermeli con pace.
E poi, cara Marchesa, ho altro in capo affè.
Sono un poco confuso, e sapete perchè.
Marchesa. State allegro, don Mauro, che non si può sapere,
Fino che siamo vivi, quel che ci può accadere.
Mauro. Ah furbetta, furbetta! Va dal mastro di casa;
Digli che faccia lui... che accomodi la casa.
Che la tavola... basta... avvisato non fui.
Digli che, sì signore... digli che faccia lui...
Eh... di’ alla governante... che mettermi vorrei...
Che tiri fuori un abito... digli che faccia lei.
Servitore. E circa alla credenza vuol qualcosa più?
Mauro. Credenza? sì signore... direi... basta, fa tu.
Servitore. (Parte.)
Marchesa. Fa tu? Deve il padrone vedere i fatti suoi.
Se fossi vostra moglie...
Mauro.   E ben, fareste voi.
Marchesa. (Oh che marito amabile!)
Mauro.   Ehi, mi par di sentire.
Marchesa. Arrivano le sedie, andatevi a vestire.
Mauro. Andrò... basta, vorrei... Sì signor, risolvete.
Via, penar non mi fate... Già so che m’intendete, (parte)