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LA VILLEGGIATURA 63


Libera. Io poi, quando ho sonno, dormo per tutto.

Ciccio. Volete mettere voi con me? (stirandosi)

Libera. Come sarebbe a dire? Chi sono io?

Ciccio. Voialtre avete gli ossi duri. (appoggiando la testa)

Libera. Noialtre? Chi siamo noialtre?

Ciccio. Sì... due gentildonne... di campagna. (addormentandosi)

Libera. Or ora, sè non fossimo qui...

Menichina. Non vedete? è briaco, che non sa quello che si dica.

Libera. Scrocco, che va a sfamarsi di qua e di là.

Menichina. Linguaccia cattiva.

Libera. Venga, venga da me, che sarà ben accolto!

Menichina. Neanche da noi non iscrocca più certo. Lo dirò a mia madre.

Libera. Ehi! dorme. Quello che, se non è sul letto, non può dormire.

Menichina. Ha le ossa delicate, il signor porcone.

Libera. Mi vien voglia ora di pelarlo1 come un cappone.

Menichina. Se avessi un lume, vorrei dar foco a quella sua perrucca di stoppa.

Libera. Facciamo una cosa, giacchè dorme, leghiamolo.

Menichina. Con che volete che lo leghiamo?

Libera. Osservate, che gli cadono i legaccioli delle calze.

Menichina. Che sudicione!

Libera. Procuriamo levarglieli del tutto, e leghiamolo alla sedia.

Menichina. Sì, sì, facciamolo. Pian piano, che non si desti. (gli Vanno levando i legaccioli, e poi lo legano alla sedia)

Libera. Io crederei che questi nodi non si sciogliessero.

Menichina. Nè meno i miei certamente.

Libera. Lasciamo che si desti da se.

Menichina. Vien gente; non ci facciamo vedere. (parte)

Libera. Sta lì, mangione, scroccone; che tu possa dormire sino ch’io ti risveglio. (parte)

  1. Zatta: di pelargli la perrucca ecc.