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112 ATTO PRIMO
Filiberto. Eppur quei pochi giorni, ch’ebbi l’onor anch’io

Di villeggiar con voi, mi parve a parer mio
Che tanto si brillasse, e tanto si godesse,
Che più per esser lieti bramar non si potesse.
Claudio. Don Lucio, don Agapito, don Pippo ed Isidoro
Caratteri son tutti che vagliono un tesoro.
Uno vanaglorioso, un mesto ed un giocondo,
Un altro che fa il dotto, e non sa nulla al mondo,
Pare che espressamente uniti in compagnia
Fossero, per produrre lo spasso e l’allegria.
Berenice. Sì, dite ver, s’avrebbono goduti mille mondi.
Giorni goder potevansi lietissimi, giocondi,
Se state non ci fossero nel nostro vicinato
Tante signore donne a fare il sindicato.
Claudio. Non venivano anch’esse a ridere con noi?
Berenice. Veniano, sì signore, si divertiano; e poi?
E poi tornando a casa quest’era il loro uffizio,
Della conversazione dir male a precipizio.
Che dite della vedova che si scordò il marito?
Vi pare che in quest’anno fatt’abbia un bell’invito?
Come fa a mantenersi? l’entrate sue son note;
Crediam che in poco tempo consumerà la dote?
Talvolta in faccia mia vidi strisciarsi1 l’occhio
Aspasia con Celinda, e battersi il ginocchio.
Disse non so che cosa, e intesi la Contessa
A dir piano ad Eufemia, ch’io fo la dottoressa.
Parlano per invidia, lo so, non v’è che dire;
Ma sia quel che si voglia, non le posso soffrire.
Filiberto. Si prendono talvolta le cose in mala parte;
Talora un accidente si giudica per arte.
Berenice. Ecco le vostre solite contraddizioni eterne.
Vendere non mi lascio lucciole per lanterne.
Claudio. Ma torneran le amiche alla città fra poco.

  1. Così l’ed. Zatta. L’ed. Pitteri, striccarsi.