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192 ATTO PRIMO
Panfilo. Un uomo, come voi...

Luca.   Soggetti gli uomini
Sono a impazzare, e se nol fan da giovani,
Da vecchi il fanno e per lor peggio. Ascoltami.
La mia pupilla, Caterina amabile,
Cresciuta è meco, e la beltade aumentasi
In lei cogli anni, ed ogni giorno veggole
Accrescer grazie alla vezzosa immagine.
L’amai qual padre nell’età più tenera,
Nè mi guardai dalle coperte insidie
D’amor, cui diede la pietade il mantice.
Volea tacer; ma il tempo ormai si approssima
Di collocarla. Un tal pensier mi lacera;
Cor non ho di veder da me dividere
Quella che il viver mio sostiene e modera.
Ma d’altra parte come mai difendermi
Posso da cento che costei mi chiedono,
Giovani, ricchi, poderosi e nobili?
Panfilo mio, ti apro il mio cuore; aiutami.
Panfilo. Parmi il rimedio al vostro mal sì facile,
Che poco onor credo di farmi in dirvelo.
Caterina vi piace? e voi sposatela.
Luca. Ci ho pensato ancor io; ma chi assicurami,
Ch’ella sia paga delle mie canizie?
Giovane è troppo.
Panfilo.   Siete voi decrepito?
Un uom che tocca appena il cinquantesimo
Anno dell’età sua, vecchio non chiamasi,
Ond’abbia il mondo di sue nozze a ridere.
Anzi vi loderanno, che accasandovi
Con giovin vaga, morbidetta e tenera,
I beni vostri ai vostri figli passino,
Non gl’ingrati a saziar congiunti ed avidi.
Luca. Ecco un altro pensier che mi sollecita,
Forse quanto l’amor. Sai che di Panfila