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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/255

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LA PUPILLA 247
Luca.   A vostro beneplacito

Farlo potete.
Placida.   Si faranno i cavoli
Con il prosciutto. In avvenire avvertovi,
Quando vi parlan, sturar ben le orecchie,
Che lo scilocco vi ha gonfiato il timpano.
Luca. Che vuol dir questo?
Placida.   Vuol dire che Orazio1
Vuol bensì Caterina, e non la Placida.
Luca. Che tu mi narri?2
Placida.   Quel che intesi io narrovi
Da lui medesmo, che mi fece mutola
Restar, e in viso di vergogna tingere.
Luca. Io non fui sordo, allor che a chieder vennemi
Quaglia te per Orazio, e cento dissemi
Ragioni incontro all’obiettar ch’io fecigli.
Placida. Quest’errore prodotto ha tanti equivoci,
Che farvi sopra vi potriano i comici
Una commedia di quelle lunghissime.
Luca. Caterina lo sa?
Placida.   Lo sa benissimo,
E innocente non è quanto rassembravi.
Anzi cred’io che la ragion che opponere
Fa all’amor vostro il di lei cuor, l’origine
Abbia da questo.
Luca.   Oimè, tu mi rammemori
Cosa tal che i rimorsi in me si destano.
Placida. Voi dovete sfogar la vostra collera
Contro di lei.
Luca.   No, l’amor mio si merita,
Non il mio sdegno.
Placida.   Benchè cruda e barbara?
Luca. Alla sua crudeltade ho il maggior debito.

  1. Ed. Zatta: Ciò vuol dir che Orazio.
  2. Ed. Zatta: E che mi narri?