Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/422

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414 ATTO QUARTO
Placida.   Spiegatevi più aperto.

(a don Anselmo)
Anselmo. Ah, se ciò succedesse.... (ammazzerei don Berto).
(da sè, e parte timoroso, perchè vede in distanza il capitano)
Placida. Germana, se vien gente, a ritirarvi andate.
Voi, se la pretendete, itene, e al zio parlate.
(a don Sigismondo)
Luigia. (Converrà ch’io lo pigli, se lo destina il fato.
Quanto più fortunata sarei coll’avvocato).
(da sè, e parte)
Placida. Venga don Ferramondo.
Paoluccio.   Vo ad avvisarlo subito.
(parte)

SCENA VIII.

Donna Placida e don Sigismondo; poi don Ferramondo.

Sigismondo. Posso sperar che mi ami?

Placida.   Dell’amor suo non dubito.
Siate di ciò sicuro; ma andate dallo zio,
Prima che seco parli quel tristo vecchio e rio.
Egli, ve lo confido, sopra il suo cuor pretende,
Sa che don Berto è debole, e di sedurlo intende.
Sigismondo. Ora capisco il zelo dell’indiscreto indegno.
Ora di conseguirla vo’ mettermi in impegno.
La chiederò a don Berto. (in atto di partire)
Ferramondo. Eccomi di ritorno.
Sigismondo.   La chiederò a don Berto.
(oa per partire, ed urta forte don Ferramondo)
Ferramondo.   Siete briaco o storno?
(a don Sigismondo, rispingendolo)
Sigismondo. Che impertinenza è questa?
(a don Ferramondo, incalzandolo)