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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/437

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LA VEDOVA SPIRITOSA 429
Venga donna Luigia, vengano i servitori, (verso la scena)

Berto. Vengano tutti quanti.
Placida.   Uditemi, signori.
Sempre fra due rivali vi è quel che merta più.
Abbia la sposa in dono colui che ha più virtù.
Far non pretendo un torto: sono di tutti amica.
Chi ha più virtù e più merito, vo’ che la prova il dica.
So che don Sigismondo è un cavalier perfetto,
Degnissimo, malgrado a un picciolo difetto.
Soggetto è alle astrazioni, ma questa è poca cosa.
È il cuor che fortunata può rendere una sposa.
Don Anselmo per altro a gloria sua conviene
Dir che nessun l’eguaglia nell’essere dabbene,
Nella virtù esemplare che gli uomini governa,
E nell’usare a tutti la carità fraterna.
Eccovi un chiaro esempio dell’opere sue belle;
Impiega ogni suo studio a maritar donzelle.
Don Berto più di tutti può dir se a questo inclini,
Ei che gli diè per una teste cento zecchini.
Berto. È vero, io non lo dico altrui per vanità:
Sia detto a gloria sua, questa è la verità.
Placida. Che dice don Anselmo?
Anselmo.   Per me non dico nulla.
Placida. A noi lo potrà dire la povera fanciulla.
Venga avanti, signora. (verso la scena)

SCENA VII.

Clementina, Paoluccio e detti.

Clementina.   Sono io la chiamata?

Placida. Ecco, signor don Berto, la sua beneficata:
La semplice zitella, ch’era in un gran pericolo
D’essere rovinata.
Clementina.   Piano su questo articolo.
Non sono una sfacciata.