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446 | ATTO PRIMO |
al cuoco, al mastro di casa, avrò da soffrire che venga ora costei a levarmi la mano? Caro don Anselmo, noi siamo avvezzati col nostro don Berto a mangiare de’ buoni bocconi. Si mangia bene a pranzo, si mangia meglio a cena. Sarebbe per noi una perdita lagrimosa.
Anselmo. Per mangiare non preme; ogni cosa mi serve.
Isidoro. Veggo per altro, che quando viene in tavola qualche cosa di buono, non siete l’ultimo ad allungare la mano.
Anselmo. Io mangio solamente per vivere. A saziar l’appetito mi basterebbero quattro ceci.
Isidoro. Quattro ceci eh! Mi pare che vi piacciano li capponi.
Anselmo. Se ci sono, non li ricuso, sono creati per beneficio dell’uomo. Per altro non è questa la mia passione. Quello che ardentemente desidero, è il poter giovare al mio prossimo.
Isidoro. Parmi di sentire don Berto.
Anselmo. Caro amico, convien cercare il modo di screditare presso di lui donna Placida. Non già per il desio perverso di mormorare, ma per mettere riparo all’imminente pericolo di quella povera sua germana.
Isidoro. A voi preme quella fanciulla, e a me preme la tavola sopra ogni cosa.
Anselmo. Ah! voi non conoscete il pregio d’una bellezza innocente.
SCENA V.
Don Berto e detti.
Berto. Amici, eccomi qui con voi; mi hanno trattenuto finora ad un magistrato per gli affari di mia nepote; ora che mi sono spicciato, sono qui a godere della vostra amabile compagnia.
Isidoro. Oggi, don Berto, cosa abbiamo da desinare?
Berto. A me lo domandate? Non siete ancora stato in cucina?
Isidoro. Oh, non ci vado più per ora.
Berto. Perchè?
Isidoro. Perchè in casa ci è una nuova padrona, e non vorrei che nascessero degl’impicci.