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458 | ATTO PRIMO |
Placida. Sarà quel che sarà? Col semplice salario, che vi guadagnate in due, come fareste, se vi sopravvenissero de’ figliuoli? E se Don Berto vi licenzia di casa, come farà Paoluccio con la signora sposa? Ella ha far le calzette, ed egli il vagabondo per le contrade. Oh la bella figura che voi farete! Briccone, ti fideresti forsi della gioventù della moglie? Meriteresti di essere bastonato, se avessi queste massime. Trovati una buona dote, e poi maritati, se pure hai voglia di maritarti.
Paoluccio. Circa alla dote, signora, mi ha detto poco fa Rosina che ha cento zecchini d’oro.
Placida. Cento zecchini d’oro? come li può avere? Si seminano li quattrini? Cosa può guadagnare all’anno? Dodici scudi? O ella ruba al padrone; o te li promette per ingannarti. Lascia che io le parli, che senta un poco con qual fondamento lo dice. Non t’imbarcare così alla cieca. Sarà quel che sarà? Povero sciocco! Passano presto i furori del primo amore, e succede poi il pentimento, e si ci pensa, quando non vi è più tempo.
Paoluccio. Dice bene, signore. Veggo benissimo, che il matrimonio non fa per me, e se mai....
Placida. Guarda nell’anticamera, che mi pare di sentir gente.
Paoluccio. Subito. (Se almeno fossi certo dei cento zecchini, potrei dire, come dice il proverbio, un buon pasto e cento guai), (parte)
SCENA XII.
Donna Placida e poi Paoluccio.
Placida. Ecco quel che succede quando il padrone di casa non ha cervello. Tutti fanno alla peggio.
Paoluccio. È un certo signor Sigismondo, che desidera riverirla.
Placida. Venga pure, ch’è padrone.
Paoluccio. Credo che quel signore sia dilettante assai di pittura, osserva i quadri con una grande attenzione. Gli ho dimandato tre volte che cosa voleva, ed egli non mi ha risposto nè meno.
Placida. Doveva essere astratto. Egli patisce assaissimo le astrazioni.