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168 ATTO QUARTO
Dorotea. Voi favellate invano; o com’io voglio, o niente.

Cammilla. Compatite, signora, il ver lo voglio dire,
Par che voi lo facciate alfin di contradire.
Dorotea. Già son pagata al solito con i disprezzi e l’onte.
Se fosse qui presente, cosa direbbe il Conte?
Egli che mi conosce, egli che sa il mio cuore,
Formalizzar potrebbesi del mio soverchio amore.
Cammilla. Anzi mi persuado che un cavalier onesto,
Il mio dover sapendo, mi loderebbe in questo.
Dorotea. Egli de’ miei consigli si gloria e si compiace.
Cammilla. L’offenderei di questo credendolo capace.

SCENA IV.

Il Signor Roberto e le suddette.

Roberto. Eccomi ai cenni vostri. (a Dorotea)

Cammilla.   Voi qui, signor Roberto?
Dorotea. Ella fra queste soglie non vi aspettava al certo.
Se voi vi lusingate ch’ella d’amor sospiri,
Sono, ve lo protesto, inutili deliri.
E senza più dipendere da un’anima sì ingrata,
Scegliere vi consiglio un’altra innamorata.
Roberto. Possibile, Cammilla?...
Cammilla.   Vi amo, non dubitate.
Roberto. Signora Dorotea, perchè mi tormentate?
Dorotea. Può darsi ch’io m’inganni, se a torto vi tormento;
S’ella fedel vi adora, facciam l’esperimento.
Eccomi, vi esibisco sposarvi immantinente;
Mi obbligo a dar io stessa la dote sufficiente.
Pronti due testimoni all’occorrenza abbiamo.
Se siete innamorati, l’affar sollecitiamo.
Roberto. Voi cosa dite? (a Cammilla)
Cammilla.   Io dico, caro Roberto amato,
Che senza i genitori sposarci è a noi vietato.
Roberto. Per verità, ha ragione. (o Dorotea)