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170 ATTO QUARTO
Se l’impazienza vostra mi stimola a tal segno,

Scordomi di me stessa, vi offro la mano in pegno.
Roberto. Felice me!
Dorotea.   (La sciocca ceder doveva, il so.
Io, quanto più mi pregano, tanto più dico no).
Via, concludasi dunque. Facciam le cose pronte.
I testimon si chiamino... Ecco opportuno il Conte.

SCENA V.

Il Conte Alessandro e detti.

Conte. Come, signor Roberto! voi qui? chi vi ha condotto?

Vostro padre, gli amici vi cercano per tutto.
Per concluder le nozze siete di là aspettati.
(a Roberto e a Cammilla)
Cammilla. Andiam.
Dorotea.   Non anderete senz’essere sposati.
Conte.   Sposati?
Dorotea. Eccovi, o Conte, svelato il mio disegno.
Di unirli in matrimonio preso da me ho l’impegno.
Vuò far vedere al mondo chi sono, e chi non sono:
Che facile mi sdegno, che facile perdono.
E voglio in mia presenza che porgansi la mano.
Senza de’ genitori, senza di suo germano.
Conte mio, son certissima che voi mi loderete.
Conte. Libero, quel ch’io sento, dirò, se il permettete.
Veggo assai chiaramente quanto dalla passione
Ad essere offuscata soggetta è la ragione,
E che la mente umana, quantunque illuminata,
Talor ne’ suoi consigli suol essere ingannata.
Come! legar volete di due persone i cuori,
Senza il figlial rispetto dovuto ai genitori?
L’autorità paterna violare a voi non spetta.
Amor non vi consiglia. Vi sprona una vendetta.
E di acquistare in vece lode, rispetto e stima,
Gli animi voi rendete più torbidi di prima.