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172 ATTO QUARTO
Si espose incautamente di critiche al periglio.

E allor che l’intenzione provien da fondo buono,
È degno anche un inganno di scusa e di perdono.
Io della sua virtude ho un ottimo concetto.
Stimatela voi pure, portatele rispetto.
Ite dove vi aspettano entrambi unitamente;
Di quanto è qui seguito, altrui non dite niente.
Noi pur verrem fra poco; vi do la mia parola,
Ella farà cogli altri quel che volea far sola.
E far che si vergognino saprà quel maldicenti,
Che di lei non conoscono il merito e i talenti.
Cammilla. Per me son persuasissima della di lei bontà.
(Il Conte, a quel ch’io vedo, è un uom di abilità).
(da sè, e parte)
Roberto. Tutto saprò scordarmi, appena uscito fuore;
Per ora altro non penso, che a consolarmi il cuore.
(parte)

SCENA VI.

La Signora Dorotea e il Conte Alessandro.

Dorotea. Non mi credeva mai di sofferir dal Conte,

Dopo le sue promesse, tanti dispregi ed onte.
Conte. Come! io disprezzarvi? Io, che per l’onor vostro
Con il maggiore impegno sollecito mi mostro?
Dorotea. Bella sollecitudine per l’onor mio, signore.
Farmi coprire il volto di un livido rossore?
Conte. Arossiste a’ miei detti?
Dorotea.   Pur troppo io mel rammento.
Conte. Permettete da questo, ch’io formi un argomento:
Donna saggia qual siete, che la ragion capisce,
Quando conosce il torto, si pente ed arrossisce.
Peggio per voi, se ai colpi della mia lingua ardente
Aveste riserbato l’orecchio indifferente.
Se i giusti miei rimproveri a voi recaron duolo,
Se punger vi sentite, con voi me ne consolo.