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198 ATTO PRIMO
Cavaliere.   Vi prego, in cortesia,

Sono le cerimonie sbandite in casa mia.
Se amor qua vi conduce, gradisco il vostro affetto,
E se obbedirvi io deggio, che comandiate aspetto.
Paolino. Sì, amico, a voi mi guida l’amore e il dover mio;
Con voi me ne condolgo....
Cavaliere.   Di che?
Paolino.   Di vostro zio.
So che dopo due mesi ch’egli mancò di vita,
Non dovrei rinnovarvi nel cuore una ferita.
Lo so ch’egli vi amava, so che voi pur l’amaste,
E fui a parte anch’io del duol che ne provaste.
Cavaliere. Gradisco i buoni uffici di un generoso amico,
Ma noto esser dovrebbevi il mio costume antico.
Delle sventure umane affliggermi non soglio,
Nè con vil debolezza, nè con soverchio orgoglio.
Lo zio, ch’era mortale, pagato ha il suo tributo;
Per prolungar suoi giorni fec’io quanto ho potuto.
Della natura umana i primi moti ho intesi,
Ma a rispettare il fato dalla ragione appresi;
Dicendo fra me stesso, se morto ora è lo zio,
Perchè dolermi tanto, se ho da morire anch’io?
E dopo la mia morte a me che gioveranno
Le lacrime e i singhiozzi di quei che resteranno?
La vita è troppo breve per trapassarla in guai;
Abbiam delle sventure da tollerare assai;
E quei che più si affliggono degl’infortuni usati,
Vivono men degli altri, sono a se stessi ingrati.
Paolino. Questa filosofìa piacemi estremamente.
Il mal non è più male, se l’anima nol sente.
Resti in pace lo zio, che fatto ha un sì gran volo;
Della vostra virtude con voi me ne consolo.
E poi, se all’amicizia libertà si concede.
Godo ch’ei v’abbia fatto di sue ricchezze erede.