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L'APATISTA 269
Che i cuori più inumani pon rendere amorosi.

Quelle guance vermiglie, quel bel labbro ridente,
Sappian che del suo bello non me n’importa niente.
Sia certa la Contessa, che qual l’avrei veduta
Senza passion mia sposa, l’ho senza duol perduta.
E se è ver, che la donna pretenda essere amata,
Colla mia indifferenza l’ingiuria ho vendicata.
Contessa. L’insulto che mi fate, è di una dama indegno.
(s’alza)
Sentomi ch’io non posso più trattener lo sdegno.
Cavaliere. Contessa, i sdegni vostri di provocar tentai;
Se mi riuscì l’impresa, son vendicato assai.
Perdonate, signora; quel che scherzando ho detto.
Non scema al grado vostro la stima ed il rispetto.
E quella indifferenza, che agli occhi vostri ostento,
Sdegno non la produce, ma il mio temperamento.
Con voi non sono irato, fìnsi così per gioco:
Godo d’aver io stesso scoperto il vostro foco.
E se don Paolino di vero cuore amate,
Sian le nozze concluse, e a consolarvi andate.
Contessa. Quasi rider mi fate.
Cavaliere.   Ride quel bel bocchino!
Come si sente il core, signor don Paolino?
Ma con voi mi scordavo, che vendicarmi or resta:
Giovine sconsigliato, la mia vendetta è questa.
Ospite qua veniste con mascherato amore,
Vi accompagni partendo il rimorso, il rossore.
Paolino. Deh perdonate, amico...
Cavaliere.   Per me vi ho perdonato;
Provai non poca pena a fingermi sdegnato.
Le pazzie compatisco d’un violento affetto,
E che mi guardi il cielo da un simile difetto.
Ma il conte Policastro, che venne unitamente
A tramar quest’insidia....
Conte.   Amico, io non so niente.