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380 ATTO PRIMO
Fabrizio. Comanda in luogo mio a tutta la famiglia.

Giuseppina. Ditemi il ver, signore, è sposa vostra, o figlia?
Fabrizio. È donna di governo.
Giuseppina.   Governi, e non comandi.
Fabrizio. E una donna di merito.
Giuseppina.   Certo ha meriti grandi, (ironico)
Di lei più puntuale economa non vi è.
Risparmia pel padrone, e mette via per sè.
Il pane nella madia tien chiuso alle serventi,
E poi ne fa padrone le amiche e le parenti.
A ripulir la casa leva del sole innante,
E fa le sue faccende insieme coll’amante.
Fabrizio. Ah linguaccia, linguaccia! Io so perchè parlate.
Lo so che quella donna con ingiustizia odiate.
Ella non è capace di queste iniquità.
Giuseppina. Io vi farò con mano toccar la verità.
Fabrizio. La veritade è questa. Sceglietevi uno stato.
Giuseppina. Io voglio maritarmi.
Fabrizio.   Lo sposo io l’ho trovato.
Giuseppina. Giovane?
Fabrizio.   Ha sessant’anni.
Giuseppina.   Bravo, signore zio!
Quand’abbia a maritarmi, ci ho da essere ancor io.
Fabrizio. Ci sarete, sicuro.
Giuseppina.   E quando ci sarò,
A un uom di sessant’anni dirò sul viso un no.
Fabrizio. Ed io vo’ dire un sì.
Giuseppina.   Ditelo pure, e poi
Quando l’avrete detto, lo sposerete voi.
Fabrizio. Fraschetta! dalle due uscir voi non potrete,
O sposatevi a questo, o in un ritiro andrete.
Giuseppina. Un zio non può tal legge imporre a una nipote,
A cui fu preparata dal genitor la dote.
Per me, per la sorella, signor, vi parlo chiaro.
Viver con voi fanciulle non ci saria discaro;