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LA DONNA DI GOVERNO 405
Scoprì vari disordini nella famiglia occorsi;

Vedendo nel padrone far breccia i detti suoi,
Diedesi a metter male, e a mormorar di noi;
Ed il vero col falso meschiando in buona forma,
La massima gl’impresse di fare una riforma.
Credendola il buon vecchio donna di gran giudizio,
La trasse di cucina dall’umile esercizio.
Le diede della casa governo e direzione,
Cambiò vari domestici a sua requisizione.
Più del padrone istesso comanda in queste soglie;
Per quello che si dice, vuol prenderla per moglie.
E una semplice serva è giunta a questo segno
Sol colle stregherie d’un femminile ingegno.
Rosina. Per verità, sorella, voi dir sapete tanto.
Ch’essere mi parete capace d’altrettanto.
Giuseppina. No, non son io capace d’usar simili inganni,
Ma li conosco, e bastami di ripararne i danni.
Ho avvisata di tutto nostra zia Dorotea:
Da noi verrà fra poco, saprà la nostra idea.
Ella che fu sorella di nostra madre, ha in mano
La ragion di difenderci contro d’un zio inumano.
Rosina. Se vien qui nostra zia, è tanto una ciarliera,
Che a strepitar principia, ed a gridar fin sera.
E s’ella in quest’incontro non modera il suo vizio.
Credetemi, sorella, nascerà un precipizio.
Giuseppina. Nasca quel che sa nascere, s’ha da finire un dì.
Rosina. Ma se la zia si scalda...
Giuseppina.   Oh, per l’appunto è qui.
(osservando fra le scene)

SCENA II.

Dorotea e detti.

Dorotea. Oh nipoti!

Giuseppina.   Son serva.
Dorotea.   State ben? (siede)