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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/451

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LA DONNA DI GOVERNO 443
Rosina. Io ho firmato la scritta? (al Notaro)

Ippolito.   Io ho sottoscritto? (al Notato)
Notaro.   Oibò.
Giuseppina. Non sono questi i sposi? (al Notato)
Notaro.   Questi? Signora no.
Dorotea. Oh bella!
Giuseppina.   Oh, questa è buona!
Fulgenzio.   Dunque chi sono stati?
(al Notaro)
Notaro. Mi par, se mi ricordo... Ecco, li ho qui notati:
(tira fuori un taccuino)
Valentina Marmita e Baldissera Orzata.
Giuseppina. La donna di governo.
Dorotea.   L’amico l’ha sposata.
Fulgenzio. L’equivoco è curioso.
Dorotea.   Che sì, che siete sordo?
Fulgenzio. Ma se Fabrizio istesso...
Dorotea.   Eh via, siete un balordo.
Fulgenzio. È un po’ troppo, signora...
Giuseppina.   Ma come mai può darsi.
Che il vecchio di tal cosa non abbia ad isdegnarsi?
Dite, signor notaro, l’ha saputo il padrone?
Notaro. Anzi vi ha posto anch’egli la sua sottoscrizione.
Giuseppina. Come diavolo mai?... V’è dote nel contratto?
(al Notaro)
Notaro. Sì, quattromila scudi...
Giuseppina.   Egli è impazzito affatto.
Dorotea. Guarda se vi è il padrone. (a Tognino)
Tognino.   Sì signora.
Dorotea.   Cammina.
(a Tognino)
Tognino. (Voglio veder, s’io posso avvisar Valentina).
(da sè, e parte)
Notaro. Quand’io salia le scale, mi par, se non ho errato.
Che il padrone di casa sia nel cortile entrato.