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rammentando più tardi quella ripresa scrisse: «Ermete Novelli richiamò in vita la D.d.g., e fu un trionfo» (Messaggero, 25 febbr. 1907). Ma a gran parte del pubblico, che s’è foggiato un Goldoni all’acqua di rose, lo spietato realismo del lavoro fece inarcar le ciglia. «Tutti si aspettavano una serata bianca, uno spettacolo per famiglia: di Goldoni, perbacco, ci si poteva fidare... E i palchi erano gremiti di signorine. Quale sorpresa! Ma quella era robaccia da Teatro libero, era la «comédie rosse!..» Era semplicemente una commedia nudrita d’un’amara osservazione morale, gagliarda e franca nel colorito, opera d’un Goldoni non prima noto nè sospettato (G. De Frenzi. Misconosciuto e sconosciuto. Nel 2.0 cent. d. nascita di C. G. Il Teatro Alessandro Manzoni, Milano, 25 febbr. 1907, p. 13). Loda l’Oliva moltissimo l’esecuzione e solo muove rimprovero al capocomico d’aver modificato arbitrariamente lo scioglimento. «La commedia doveva finire bene colla punizione della colpevole e col suo ravvedimento e così il maestro la fece finire, ma il Novelli cercò che punizione e ravvedimento non apparissero pienamente e vi fossero sottintesi e riserve, e alterò alquanto le tinte dell’ultima scena, e tolse di peso il discorso finale, la licenza: io desidererei il Goldoni fosse sempre rappresentato integralmente» (libro cit., pp. 19, 20).

Ermete Novelli, ben s’intende, portò seco ne’ suoi giri artistici la D. d. g. La recitò a Trieste, (v: Il Piccolo già cit. e il Gazzettino di Trieste, 4 maggio 1901) e verisimilmente altrove.

Altre fortunate recite compendia certo l’elogio del Rasi a Rosa Bugamelli-Sacchi, «la Pellandi delle servette», anch’essa interprete apprezzata della D. d. g. (I comici italiani, vol. 1, p. 529).

Da questa sua commedia l’autore ricavò un libretto che con musica del Buranello si eseguì nell’autunno del 1764 e nel febbr. dell’anno dopo al Teatro Sem Moisè (cfr. Spinelli, Bibliografia, pp. 182, 183 e Natatori Gradenigo, 1 die. 1764 e 15 febbr. 1765). Forse perchè l’originale pareva una commedia ben morta, il Goldoni lo sfruttò più che non abbia fatto in altre derivazioni dal suo teatro di prosa. Vi si notano qua e là i martelliani originali spezzati alla meglio in settenari e quinari. La macchietta del notaio ha maggior rilievo comico perchè il latino, che il personaggio ostinatamente adopera, provoca qualche equivoco esilarante. Il libretto s’apre con un’orgia di Corallina e compagni. Alla dichiarazione di Corallina: «Finchè dorme il mio padrone - Voglio far conversazione - E con voi mi vuò spassar», gli altri rispondono: «Così vuol lo stil moderno - E le donne di governo - Quasi tutte lo san far». Quasi tutte. Valentina invece aveva detto «Se donne di governo mi avessero ascoltata, Lo so che giustamente m’avranno criticata» e di più assento: «Un carattere è il mio del tutto immaginario». Alle parole musicate si dava meno peso e la censura lasciava correre. Avvertì già il Masi che la musica rendeva animoso il Goldoni (Recensione anonima alle Noterelle Goldoniane di E. Maddalena nella N. Antologia del 16 aprile 1892).

Per il tramite goldoniano la serva padrona rivive in qualche commedia dell’800. Serve nel teatro di Giovanni Giraud un Maestro di scuola che da lei si lascia infinocchiare e per lei trascura un’onesta coppia di nipoti bisognosi. La donna è a sua volta in balia d’un amante sfruttatore, il quale la persuade