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56 ATTO TERZO
Ma rintracciar lo feci, e non lo vedo ancora.

Fernando. Consolatevi seco del fortunato avviso, (a donna Isabella)
Figlia, perchè sì mesta, e sì dolente in viso?
Nota è a voi la cagione che le conturba il seno?
(a donna Placida)
Placida. Pria ch’io da lei partissi, l’animo avea sereno.
(a don Fernando)
Or cambiata la trovo. Deh, qual ragion novella
Turba il vostro bel cuore, dolcissima Isabella?
Fernando. Misero me! dagli occhi miro caderle il pianto.
Duca, il suo duol saprete voi che le foste accanto.
Luigi. So la cagion pur troppo, signor, del suo dolore.
Fernando. Deh svelatela, amico.
Placida.   Oh Dei! mi trema il core.
Luigi. Ah, il dolor mi confonde della mia bella in faccia.
Vuole il dover ch’io parli; fa il mio rossor ch’io taccia.
Isabella. Ah, che celar non puossi il mio destin malvaggio.
Fernando. Deh figlia mia, parlate.
Placida.   Deh, fatevi coraggio.
Isabella. Udite.
(tira in disparte donna Placida, gettandole le braccia al collo)
 (Ah, che mi manca nel palesarlo il core), (da sè)
(Il prence don Fernando non è il mio genitore).
(piano a donna Placida)
Placida. (Oh Dio! come scoperto si è mai codesto arcano?)
Duca, ciò sarà vero? (forte)
Luigi.   Il dubitarne è vano.
Fernando. Non mi tenete in pena.
(a donna Placida e a donna Isabella)
Placida.   (Figlia, a voi chi lo dice?)
(piano a donna Isabella)
Isabella. (Pria di morire, un foglio vergò la genitrice.
Del Cavaliere in mano vidi la carta or ora).
Placida. (Scritto del padre è il nome?)
Isabella.   (Non l’ho saputo ancora).