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LA SCUOLA DI BALLO 443

SCENA II.

Lucrezia e detti.

Lucrezia.   Oh di casa. (di dentro)

Rigadon.   E chi è cotesta
Che mi viene a seccar? Se con voi sono,
Ogni cosa m’inqueta e mi molesta.
Lucrezia. Signor maestro, chiedevi perdono.
Ho una cosa da dirvi in confidenza;
Ma in presenza di tanti io non ragiono.
Rigadon. Giuseppina, mi date la licenza
Di ascoltar questa donna?
Giuseppina.   Volentieri:
So del vostro mestier la convenienza.
Vostra sorella mi ha pregato ieri
Le facessi una cuffia; andrò frattanto
A dar mano per essa ai lavorieri.
(Egli mi crede, e mi approfitto intanto
Della sua buona fede a mio talento:
Questo maestro mio per me è un incanto). (via)
Rigadon. Signori miei, nell’altro appartamento
Ad attendermi andate. È necessario.
Che mi lasciate qui per un momento.
Aspetto questa mane un impresario,
Che vuol far compagnia di danzatori,
E si ha a trattar di posto e di onorario.
Per non incomodar loro signori
Più del dovere, alla mia parca mensa
Gradirò questa mane i lor favori.
Filippino. Le grazie che il maestro ci dispensa,
Accetterem con giubilo infinito. (via)
Rigadon. (Quando do da mangiar, ciascun m’incensa).
Rosalba. Grata vi son del generoso invito. (a Rigadon)
Rigadon. Non vi duole più il capo?