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240 ATTO TERZO

Annina. (Mi dispiace che a Tognina abbia toccato la mano dritta, ma se reciteremo msieme, mi vendicherò).

Tognina. Signor Pasqualino, con licenza di questo signore, prendete una sedia, e sedetevi ancora voi.

Alì. Cosa voler tu qui? (a Pasqualino)

Pasqualino. Sono venuto con lei

Alì. Cosa intrar con tua persona? (a Tognina)

Tognina. Per non venir qui sola, mi ho fatto accompagnare da lui. Egli è un tenore bravissimo, che canta a perfezione, e che fa onor alla musica.

Alì. Sua figura non star cattiva. Se saper ben cantar, perchè tenor non poter far per soprano?

Tognina. E chi ha detto che non lo può fare?

Alì. Star Nibio, che per forza voler io prender maledetto sopran.

Tognina. Nibio non sa quel che si dica. Le giuro e le protesto, che un tenore di questa sorte è meglio di tutti i soprani del mondo.

Alì. (Nibio star furbo, star farabutto, voler me per suo interesse ingannar).

Annina. (L’amica vuol produrre il suo favorito).

Alì. Dir, tu quanto voler? (a Pasqualino)

Pasqualino. Signore, io non sono diffìcile. Verrò, se vi contentate, per quattrocento zecchini.

Alì. (Musico voler mille, tenor quattrocento, al diavolo mandar soprano). E tu quanto mi domandar? (a Tognina)

Tognina. Tutto quel ch’ella vuole. So che vossignoria è un galantuomo. Mi piace la sua bella fisonomia, e per lei canterei, come si suol dir, per niente.

Alì. Tognina star generosa; tuo discorso tanto obbligar, che de Alì tu non aver lamentar. (a Tognina)

Annina. Se io ho domandato, signore, l’ho fatto per obbedirla, ma di me pure ella può far tutto quello che vuole. (ad Alì)

Alì. Star furba Bolognesa. Cognoscer adesso, che Tognina aver fatto meglio non domandar.