Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/392

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378 ATTO PRIMO

Polidoro. Quando c’è il rischio, credo si possa fare.

Conte. Date qui dunque.

Polidoro. Benissimo. (lira fuori il libro)

Conte. (Quel maladetto libro mi vuol far delirare). Aspettatemi, che ora vengo. (al tagliatore)

Fabio. Di qui non parto.

Polidoro. In tutto zecchini cento. (scrive sul libro) Favorisca di porvi la di lei firma. (al Conte)

Conte. Benissimo. (scrive sul libro)

Polidoro. Ecco venti zecchini. (dà il danaro al Conte)

Conte. Obbligatissimo. (In questa maniera i commissari si fanno ricchi). Eccomi qui, tagliate. (al tagliatore)

Aspasia. Serva sua, signor padre. (a Polidoro che vuol partire)

Polidoro. Oh figlia mia, cosa fate qui?

Aspasia. Sto qui un poco in conversazione.

Polidoro. Benissimo. (parte)

Aspasia. Mio padre è il miglior uomo di questo mondo. (a Ferdinando)

Ferdinando. Se io gli domandassi una cosa, vorrei che mi rispondesse benissimo.

Aspasia. Capisco, capisco quello che gli vorreste chiedere, ma prima ch’ei rispondesse, avrei da risponder io.

Ferdinando. E voi che rispondereste?

Aspasia. Se andate alle schioppettate, malissimo.

Ferdinando. E se ritorno sano?

Aspasia. Benissimo.

Ferdinando. Brava, così mi piace. Alla vostra salute. (beve)

Aspasia. Portate un’altra bottiglia. (a un servitore)

Florida. Donna Aspasia ha un bel divertirsi. (a Faustino)

Faustino. La casa di un commissario di guerra è il fondaco dell’abbondanza. L’oro che consumasi nelle armate, non si perde sotterra; cola nelle mani di alcuni particolari, e i commissari ne hanno la maggior parte.

Conte. Non mi restano che tre zecchini. Vadano questi ancora sul sette.