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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/52

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44 ATTO SECONDO

Fabrizio. Presto, va in cucina, va a lavorare.

Succianespole. Gnor sì. (s’incammina adagio)

Fabrizio. Fa presto.

Succianespole. Gnor sì. (come sopra)

Fabrizio. Ma spicciati.

Succianespole. Gnor sì. (come sopra, e parte)

Flamminia. Signor zio, a quel ch’io vedo, vogliamo andar a tavola molto tardi.

Fabrizio. Eh, non dubitate di niente. Se vado io in cucina, in tre quarti d’ora fo da mangiare per cinquecento persone.

Flamminia. Ih! che sparata!

Fabrizio. Per modo di dire, per modo di dire.

Flamminia. E non andate a mutarvi?

Fabrizio. Sì, c’è tempo. Dov’è Eugenia?

Flamminia. Nella sua camera.

Fabrizio. E il signor Conte dov’è?

Flamminia. A guardare i quadri.

Fabrizio. Lo compatisco: non si può saziare. Andatelo a chiamare il signor Conte, che favorisca di venir qui.

Flamminia. E perchè ha da venir qui? Non istà bene, dove egli sta?

Fabrizio. Ditegli che venga qui. Gli voglio far conoscere questo degno galantuomo del signor Ridolfo. Vedrete un gran cavaliere, signor Ridolfo: un pezzo grosso; uno di quelli, che fanno tremare. Ma via, chiamatelo. (a Flamminia)

Flamminia. Senza che m’incomodi, eccolo ch’egli viene da sè.

Fabrizio. È un’arca di scienze, è un mostro di virtù. Resterete maravigliato. (a Ridolfo)

SCENA III.

Roberto e detti, poi Lisetta.

Roberto. Queste signore si sono annoiate di me; le compatisco, hanno pensato meglio lasciarmi solo.

Fabrizio. Dov’è Eugenia? Presto, chiamatela. (a Flamminia)