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80 ATTO TERZO

Fulgenzio. Finito ho l’obbligo di servirla, terminato ho l’incarico d’accompagnarla.

Eugenia. E perchè? (sostenuta)

Fulgenzio. Perchè è giunto in Milano il di lei consorte.

Eugenia. È arrivato il signor Anselmo? (meno sostenuta)

Fulgenzio. Sì, è arrivato poc’anzi. Non ritrovò in casa la sposa. Seppe dov’era; è venuto egli stesso a vederla, ad abbracciarla. Fa ora i suoi convenevoli col signor Fabrizio e colla signora Flamminia. Chiese di voi, le fu risposto che siete in camera ritirata, e parte a momenti accompagnata dal caro sposo.

Eugenia. E voi? (patetica)

Fulgenzio Resterò qui, se mel concedete.

Eugenia. Non volete essere col fratello a discorrere degli affari vostri?

Fulgenzio. In due parole ho seco lui trattato, e concluso il maggior affare che mi premesse.

Eugenia. Cioè gli avrete reso conto della custodia, in cui gli teneste la sposa.

Fulgenzio. No, ingrata. Gli palesai l’amor mio: gli spiegai la brama di avervi in moglie. Il mio caro fratello me l’accorda placidamente; mi esibisce poter condurre la moglie in casa. E pronto dividere, s’io lo voglio, l’abitazione e le facoltà. Mi ama tanto, che nulla seppe negarmi, e permettetemi ch’io lo dica, se il zio non vi può dar dote, brama ch’io sia contento, e non avrà per voi meno stima e meno rispetto.

Eugenia. (Ah incauta! ah ingrata! perchè impegnarmi col Conte?) (smaniosa e piangente)

Fulgenzio. Oh stelle! così accogliete una nuova, che mi lusingai dovesse rendervi consolata? Ardireste voi paventare, ch’io frequentassi con passione mia cognata? Non fate a lei, non fate a me un sì gran torto. Pure se l’impressione nell’animo vostro non può per ora scancellarsi, vi prometto, vi giuro di non trattarla, di non vederla mai più.

Eugenia. Povera me! son morta. (si abbandona sopra una sedia)

Fulgenzio. Eugenia, che cosa è questa?