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venture (Il Piccolo, Trieste, 2 febbr. 1911). Lo seconda lo Schmidbauer dicendo che queste «per la satira hanno minore importanza» (Das Komìsche bei G., München, 1906, p. 137). È giusto. Non che i piaceri della villa, descritti e chiosati con brio e arguzia, distolgano la mente dalle morbose smanie che li vollero e dagli effetti disastrosi che trarranno seco. L’intenzione critica resta sempre evidente. Qui però la villeggiatura è lo sfondo, dal quale si stacca un delicato episodio d’amore, che con interesse novo prende l’animo di chi legge o ascolta.

La commedia s’avvia con scene d’informazione e presentazione, affidate a una balda, anzi ribalda schiera di servitori. Senza eufemismi il Chatfield-Taylor definisce questi e i compagni loro della Moglie saggia e della Castalda «l’accolta più ladra e più insolente che mai abbia fatto ammattire in ogni tempo una padrona di casa» (Goldoni, a biography, New York, MDCDXII, p. 458). Si sparla dunque e si sciala a tutte spese de’ padroni. Alla brigata spendereccia delle Smanie s’aggiunse in campagna — c’informano — quella tal Costanza, moglie d’un bottegaio che, secondo la buona lingua di Ferdinando, per farsi l’abito nuovo vendette «due paia di lenzuola, una tovaglia di Fiandra e ventiquattro salviette» (Smanie, I 8). Ella ha con sè Rosina, sua nipote, non figlia, come con la solita disinvolta noncuranza delle cose minime dicono le Memorie (ediz. Mazzoni, II, p. 58). Rosina amoreggia con lo sciocco Tognino, figlio del medico condotto, altro scroccone che mangia, ma tra i personaggi non figura. Per la classe basta intanto Ferdinando. Lo Schmidbauer lo giudica un parasita con «un’impronta originale» (op. e luogo cit.). Scroccone anche in amore, egli accarezza, non senza qualche scatto di comica ribellione, il gruzzolo della vecchia Sabina. È questa la «donna attempata», cui nel pensiero dell’ingenuo Filippo spettava il compito di sorvegliare in villa Giacinta. Fulgenzio però, con presago animo, l’aveva ammonito che «vi sono delle vecchie più pazze assai delle giovani» (Smanie, II 9).

Il corredo artistico del Goldoni era ormai così ricco che gli bastava ideare nuove combinazioni di personaggi a lui già famigliari per creare situazioni nuove. In quante sue commedie non abbiamo incontrato il buon Filippo e il prudentissimo Fulgenzio, tutti e due nelle vesti di Pantalone, quando tenero dei figlioli sino alla più dannosa condiscendenza, quando savio regolatore della loro educazione e dispensiere d’auree massime al mondo corrotto, in cui vive! Quante Rosaure in traccia d’uno sposo qualunque e innumerevoli Florindi e Lelii a caccia d’una dote vistosa! Anche i parasiti del teatro goldoniano, che additano a questo Ferdinando la via, son molti (Cavaliere di buon gusto. Castalda, Femmine puntigliose, Apatista, Casa nova, Ricco insidiato, Vedova spiritosa) e non poche vecchiette ridicole vi trovi vogliose d’amore (Giocatore, Vero amico, Morbinose). Queste, il Momigliano definisce: «caricature che dan quasi sempre nello sciocco», (La comicità e l’ilarità del Goldoni, Giorn. stor. d.l. LXI, p. 25) ma a Sabina riconosce «una delicatezza relativa». Non pur figure amava ripetere il Goldoni: il che, data l’enorme soma della sua produzione, era inevitabile, ma si compiaceva di rinnovare intere scene, se ben riuscite. La prima dell’atto terzo tra Brigida e Paolino sui discorsi e gl’incidenti a tavola ricorda un’altra, in tutto simile, negli Innamorati (III, 1). L’ultima dell’atto primo ripete, modificata, la famosissima delle Smanie tra