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384 ATTO TERZO

Leandro. Sì, cara, lo voglio essere ad ogni costo.

Rosina. Avete veduto il mio servitore?

Leandro. Non l’ho veduto.

Rosina. Come avete fatto a trovarmi?

Leandro. Ne ho avuto la traccia da quel medesimo che vi ha qui collocata.

SCENA II.

Costanza e detti.

Costanza. Patroni reveriti.

Rosina. Serva, signora Costanza.

Costanza. La gh’ha sempre visite, patrona.

Rosina. Questi è mio fratello, signora.

Costanza. So fradello? Me consolo infinitamente.

Leandro. (Mi piace il ripiego. Si vede che ha dello spirito).

Costanza. Me despiase, signor, che in casa no gh’ho comodo, per poderghe dir che la resta servida anca ela.

Leandro. Non preme, signora mia, non preme. Vi ringrazio della vostra cortese disposizione. Bastami che per qualche giorno vi contentiate di trattenere in casa con voi la Contessina mia sorella.

Costanza. Contessa la xe? (a Rosina)

Rosina. Per servirla.

Costanza. Mo caspita! Perchè no me l’ala ditto alla prima? L’averia servida con un poco più d’attenzion.

Rosina. Io sono contentissima del trattamento che vi siete compiaciuta di farmi; nè io soglio aver ambizione nè di titoli, nè di grandezze.

Costanza. (La xe ben una signora de garbo).

Leandro. Signora sorella, deggio andarmene per sollecitare l’affare che voi sapete.

Rosina. Andate, signor Leandro, e portatemi delle buone notizie.

Costanza. (El gh’ha nome Leandro. Che bel nome! El conte Leandro).