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220 ATTO PRIMO

Properzio. (Sì, è una signora di spirito. Lo troverà ella il modo. Non vorrei far nascere un precipizio).

Giulia. Non si accheterà donna Aspasia.

Alessandro. Perdonerà, se una maggior bellezza mi accende.

Properzio. (Donna Giulia le par più bella di donna Aspasia?)

Giulia. (Mio marito?) Signore, perchè non venite innanzi?

Properzio. Non vorrei disturbare gli affari suoi.

Alessandro. (Va facendo delle riverenze a don Properzio, il quale grossamente gli corrisponde.

Giulia. Gli affari miei e gli affari vostri non devono essere fra noi comuni?

Properzio. Non signora; non vorrei che fossero le cose nostre tanto comuni.

Giulia. E bene, dunque. Se i miei impegni v’infastidiscono, non venite dappertutto a perseguitarmi.

Properzio. Se vengo, vengo perchè mi ci fa venire l’onore.

Giulia. Che onore? Che dite voi dell’onore? In che cosa v’interessa l’onore? Ardireste voi di pensare villanamente? Una dama della mia qualità non ha bisogno di custodi dell’onor suo. Posso tollerare tutte le inquietudini che mi arrecate, ma quest’insulto mi eccita a dichiararvi... (con sdegno)

Properzio. E perchè V. S. si riscalda? (con sdegno)

Giulia. E voi, che cosa intendete di dire? (come sopra)

Properzio. Dico di questa polizza del sartore, che vuol esser pagato, che l’onore vuol che si paghi, e che io non intendo di pagar per lei.

Giulia. Date qui, signore. (gli strappa il conto di mano) Mi maraviglio di voi, e delle vostre insoffribili stravaganze. (parte)

SCENA XII.

Don Alessandro e don Properzio.

Alessandro. Ossequiosissimo servidore. (a don Properzio)

Properzio. La riverisco divotamente.

Alessandro. Con permissione. (incamminandosi)