Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XVIII.djvu/240

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228 ATTO SECONDO

Fabrizio. Eccomi a’ suoi comandi. (a don Properzio)

Properzio. Sa ella, signor segretario, che cosa le devo dire?

Fabrizio. Se non me lo dice, non saprei indovinarlo.

Properzio. Devo dirle, ascolti bene, le devo dire che casa mia non è più per lei; che il suo servizio non fa più per me, che favorisca di andarsene in questo punto, e che non me lo faccia dire due volte.

Fabrizio. Ha sentito? (a donna Giulia)

Giulia. Ho sentito. Comanda chi puote, obbedisca chi deve.

Properzio. Viva la sapientissima mia signora.

Giulia. Non è tempo ora ch’io gli risponda. Verrà il momento ancora per me. Scriverò io la lettera a don Sigismondo. (va a scrivere)

Fabrizio. Posso sapere almeno per qual ragione mi licenzia? (a don Properzio)

Properzio. Non è necessario ch’io ve la dica.

Fabrizio. È necessario che si sappia, per il mio decoro, per la mia onoratezza.

Properzio. Vi farò un benservito.

Fabrizio. Me lo faccia dunque.

Properzio. Ve lo farò.

Fabrizio. Me lo faccia ora.

Properzio. Non ho tempo presentemente da spendere due o tre ore a stendere un benservito.

Fabrizio. Questo è una cosa che si fa in un momento.

Properzio. Voi fate le cose in un momento. Vada ben, vada male, si fa in un momento. Io le cose mie non le faccio in momenti. Un attestato non è una lettera. Si fa presto a scrivere una lettera d’invito ad un cavaliere, un viglietto di appuntamento per ritrovare la dama, una risposta graziosa ad un appassionato servente; queste sono cose che si scrivono in un momento, perchè la mano è avvezzata, perchè l’abilità del segretario in simili affari è eccellente.

Fabrizio. Signore, capisco il senso del vostro ragionamento.

Properzio. Ed io ho piacere di esser capito.